Tra le varie scemenze potenzialmente pericolose fatte da ragazzino, come lanciare sassi da un colle sulla strada dove passavano delle auto, o diventare per qualche mese un tifoso della Lazio, con tanto di bandiera cucita da mia madre, credo vada inserita a pieno titolo anche la volta in cui disegnai delle svastiche, anzi, delle svastichette, sul quaderno di una mia compagna di catechismo.
Avevo 13 anni, credo. Doveva essere il 1978. Sapevo benissimo cosa significasse la svastica, non soltanto perché i miei genitori avevano vissuto da bambini la Seconda Guerra Mondiale, con il contorno della paura, della fame e dei bombardamenti – e a casa si è sempre parlato della guerra, della Liberazione di Roma dai tedeschi – ma anche perché leggevo giornaletti di guerra e in ogni caso quello era un passato prossimo, spesso molto prossimo, anche per moltissimi miei coetanei.
Perché avevo disegnato quelle svastichette? Per pura e semplice provocazione. Perché la svastica era il simbolo dei cattivi più cattivi che c’erano, i nazisti. Non simpatizzavo affatto per i nazisti o i fascisti, non ero affatto cattivo né particolarmente ribelle anzi: ero un 13enne educato e diligente, che leggeva un sacco e che sapeva anche di politica (lessi “La storia mi assolverà”, di Fidel Castro, che mi ero comprato con i miei soldi).
Ma anche io non potevo resistere a certe pulsioni adolescenziali come, appunto, il piacere di provocare, di cercare l’anticonformismo. Anni dopo, ho scoperto che Sid Vicious e Siouxsie Sioux avevano indossato svastiche in occasioni pubbliche prop rio allo scopo di provocare reazioni sconcertate, e la cosa mi è apparsa immediatamente comprensibile, chiarissima.
La mia bravata, però, non restò impunita. Qualche giorno dopo, all’uscita del catechismo, trovai la sorella grande della ragazzina e il suo fidanzato (non credo avessero più di 18 anni, ma a me erano sembrati praticamente adulti), che mi fecero un bel pistolotto sulla questione e mi intimarono di non riprovarci. Stop svastiche. Io ridacchiai imbarazzato e intimidito, e spiegai che avevo fatto uno scherzo stupido. La cosa finì lì, e mi resi conto che era stata una cazzata.
Giorni fa, ho saputo che in classe di mio figlio, che è in seconda media, un ragazzo ha disegnato svastiche sul libro di un altro, ed è stato poi ammonito dalla prof. Quello che mi ha colpito, era l’aria di gravità dell’insegnante, che è una mia coetanea. Non sono sicuro che aiuti.
Mi spiego. Io avevo una solida cultura antifascista di famiglia. I miei genitori votavano Pci, anche quel ramo della famiglia che era Dc, comunque associava i fascisti e i nazisti alla guerra e al Male (anche se poi ho appreso che c’erano stati anche fascisti, tra i parenti, durante il regime e fino al 1943: ma credo sia avvenuto un po’ in tutte le famiglie). Il ragazzetto che ha disegnato le svastiche, mi dicono, fa normalmente discorsi un po’ razzisti, che magari ha orecchiato a casa. Quindi forse le sue svastichette sono un po’ più conformiste delle mie. Forse. Ma a 12-13 anni comunque la tua voglia di ribellione, di provocazione, è forte, dopo che da bambino, alle elementari, ha prevalso probabilmente il conformismo, la paura di essere diversi dagli altri. È il lato oscuro della Forza, insomma. Un momento da maneggiare con estrema attenzione. Non è facile, e io non sono un insegnante. Ma credo che servirebbe un po’ di leggerezza.
Mi sono sempre chiesto, tornando alle mie svastichette, se le cose avrebbero potuto prendere una piega diversa. Se, cioè, in circostanze diverse – se fossi stato un altro, con un altro background – il pistolotto della sorella grande non avrebbe potuto provocare una reazione diversa, opposta, convincendomi che “svastica è bello”. Che so, come la storia di Gianfranco Fini che diventa dell’Msi perché quando va a vedere “Berretti Verdi” di John Wayne si trova davanti la contestazione dei giovani estremisti di sinistra filo-Viet.
Nella realtà, però, sono diventato, o sono rimasto, per tradizione familiare, antifascista. E mi sono anche preso la mia quota di minacce e aggressioni dai fascisti, o neo-fascisti, o post-fascisti, o estremisti di destra o come vi pare. (Una volta, anche di certa gente di estrema sinistra che non aveva gradito un mio articolo su un’occupazione di case finita a puttane: ma non confondo affatto le cose).
Penso che l’antifascismo (anche quello militante, l’ho spiegato qui, e confesso che nel corso degli anni sono diventato meno tollerante con i fasci) sia un valore e soprattutto una necessità storica. Penso che l’anti-totalitarismo sia fondamentale, perché resto un libertario. Ma l’antifascismo deve essere sufficientemente intelligente e sveglio da sapere distinguere tra pulsioni adolescenziali, anticonformismo e pericoli più seri.
L’antifascismo conformista e parruccone, invece, non serve a niente.