Ad aprile faranno 45 anni che il quotidiano il manifesto è in edicola. E saranno anche passati 26 anni dalla mia laurea, proprio sul manifesto: da rivista a giornale ad organizzazione politica, 1969-1972.
Più sotto, trovate anche un estratto dalla tesi (che vorrei pubblicare per intero nei prossimi giorni: non sono riuscito a estrarre i file dai dischetti del Mac, dunque ho deciso di fotocopiare il cartaceo e di trasformarlo in pdf, ma ci vuole un po’ di tempo).
A pensarci oggi, ogni tanto mi sento come un laureato in DiaMat nella Germania dell’Est. Il giornale di Luigi Pintor, Rossana Rossanda e degli altri fondatori ha affrontato in 45 anni numerose crisi economiche e anche politiche, ha chiuso e riaperto, oggi sembra un po’ il fantasma di se stesso. I suoi giornalisti si sono sparsi un po’ ovunque (non solo nei media) e almeno una testata (Pagina99) è una specie di spin-off, o in qualche modo un’erede.
Però, anche se non lo leggo praticamente più, l’affetto che provo per il manifesto è ancora lì. Del resto sono stato un lettore, un autore (per poco tempo) e anche uno storico del giornale. Ho cominciato a leggerlo quando avevo 15 anni, a 19 anni (nel 1984) ho iniziato a scrivere come collaboratore (volontario e non retribuito) della Cronaca di Roma, a 34-35 anni (nel 1999-2000) ho scritto qualche pezzo da Bruxelles (stavolta retribuito).
Quando proposi al mio professore, Paolo Spriano, la tesi sul manifesto, non battè ciglio. Del resto (forte della lezione di Come si fa una tesi di laurea di Umberto Eco) mi ero presentato con una proposta di titolo, uno schema di indice, una sinossi e una prima bibliografia.
Ma Spriano morì (a fine ’88) non molto tempo dopo avermela assegnata, quella tesi, e dopo avermi anche affidato a una assistente universitaria che sul manifesto aveva scritto (e che oggi siede in Senato).
Fu un periodo complicato. L’assistente storse il naso, mi disse che era una tesi quasi sperimentale, di storia orale, che era passato troppo poco tempo dai fatti. Mi invitò a cercare un altro tema.
Nel frattempo, scoprii poco dopo, propose la mia tesi a un altro studente, uno con un cognome importante, tra i leader della Pantera. Del resto, io ero uno studente figlio di nessuno che viveva in periferia. L’altro (a cui non ho mai portato alcun rancore, sia chiaro) veniva da una nota famiglia di intellettuali di sinistra. Uno che da ragazzino si arrampicava sulle gambe di Ingrao (scherzo).
Dopo aver cominciato a disperare e a cercare un altro argomento (Aldo Giannuli mi aveva proposto una ricerca sui primi sindacati in polizia, negli anni 20) , capii che l’altro studente (che oggi è un docente universitario e storico) non era particolarmente interessato alla materia , e grazie a Luciano Marrocu, uno degli assistenti di Spriano, riuscì a laurearmi su quella tesi nell’aprile 1990, con il professor Ferdinando Cordova (morto alcuni anni fa) che accettò gentilmente di farmi da relatore, dopo la modifica al piano di studi (mi sarei dovuto laureare in Storia dei partiti politici, invece fu Storia contemporanea).
Quello della tesi è stato un gran lavoro, spesso stento a credere di averla scritta io. Per mia fortuna, avevo l’abitudine della scrittura (racconti, articoli, cazzate), e dunque non fu un problema scrivere 250 pagine. All’epoca, anche a Lettere, gli universitari avevano rare occasioni per esercitarsi a scrivere, prima di entrare nel tunnel della laurea. Non so se la situaizone è cambiata.
Scrivere col computer era come una droga. Tutti i giorni accendevo e rimettevo le mani al lavoro del giorno prima, con smania perfezionista (mi rendo conto, orrore, che ho sempre scritto perchè e non perché: ma sti cazzi, in fondo). A un certo punto mi sono dovuto costringere a non farlo più, e ad andare avanti.
Non sfruttai però il mio lavoro come avrei dovuto. Nel ’91 Sarebbe stato il ventennale del giornale, ma non riuscì a organizzarmi e a rielaborare il testo per farne un libro. Peccato.
Ecco, qui c’è intanto una appendice alla tesi, nata dalla curiosità, anche perché l’economia non è mai stata il mio forte: La crisi dei primi anni Settanta sulle pagine del “manifesto”
ps: ad Aldo Garzia devo alcune chiacchierate, dritte interessanti e anche un documento inedito interno del manifesto
Un pensiero riguardo “il (mio) manifesto”