Più partito, meno referendum

Scrivo questa nota due giorni prima del cosiddetto referendum sulle trivelle, evitando dunque le solite analisi dell’indomani in stile ve lo avevo detto.
Domenica andrò a votare e voterò sì. Però, va fatto un discorso serio sui referendum, che sono diventati la sostituzione, fallita, della politica con altri mezzi.

Il fatto che da 19 anni gli unici quesiti che abbiano avuto il quorum sono stati quelli sull’acqua dovrebbe far riflettere.Invece ci aspetta un’altra bordata di richieste di referendum “sociali”.

Di chi è la colpa che ai referendum manca il quorum? Dei media, ovviamente, che non ne parlano ( i media sono sempre il colpevole perfetto). Poi degli astensionisti, come Matteo Renzi, il peggior premier della galassia (ma se è stato fissato un quorum evidentemente si è tenuto conto proprio dell’astensione, per ridurre il peso dei referendum).
L’idea che sia l’uso dello strumento in sé a provocare problemi sembra non sfiorare proprio la mente dei referendari seriali ( o meglio, sono sempre i referendum degli altri, che non funzionano).

Certamente bisogna chiamare in causa i referendari per eccellenza, i radicali. Che a un certo punto della loro esistenza hanno deciso di rinunciare allo strumento-partito tradizionale (pur dopo aver registrato score importanti, anche il 7%) e di praticare la politica corsara, un po’ entrista, un po’ lobbista, un po’ elettorale, molto referendaria, nella convinzione di poter cambiare gli orientamenti politici italiani con i referendum. Ammazzando, o quasi, gli stessi referendum.

La riforma costituzionale approvata definitivamente dalla Camera (e che è un discreto pastrocchio, ma ne riparlerò) finge di risolvere il problema, perché aumenta il numero di firme necessario, ma neanche tantissimo, e comunque pone al massimo un quorum uguale a quella della percentuale di voto delle ultime politiche.
Sarebbe stato nettamente meglio aumentare vertiginosamente il numero di firme per costringere i referendari a concentrarsi solo su questioni nazionali di principio, e però eliminare poi il quorum.

Ma anche quando i referendum passano, come nel caso dei quesiti sull’acqua, poi il problema è che il Parlamento è quasi sempre sempre chiamato a fare una legge. E siccome i partiti stanno alla Camera e al Senato, i referendari spesso no, la legge che ne esce è spessissimo un compromesso al ribasso (talvolta una presa per il culo, come nel caso del finanziamento dei partiti o del ministero dell’Agricoltura…).
Quindi i referendari poi si mettono a protestare perché il Parlamento ha stravolto l’esito del referendum, quando passa. Ignorando un fattore chiave della politica da che mondo è mondo, il rapporto di forza, che utilizza senza problemi i formalismi istituzionali  (che a loro volta sono un elemento necessario nei processi decisionali democratici) definendo l’ interpretazione.

Tutto questo per dire che? Che forse i referendari farebbero meglio a farsi lobby (sia pure virtuosa), magari utilizzando le petizioni online (finché avranno fortuna: a me hanno già rotto le palle). Si spendono anche pochi soldi.
Oppure, pensandoci bene, a farsi partito. Mettendo da parte le distinzioni tipiche per le quali di solito odi più quello politicamente vicino a te nel nome della purezza (Renzi è il peggior governante nella storia d’Italia, della Galassia etc proprio perché viene da sinistra, anche se ovviamente non è veramente di sinistra etc etc). Mettendo da parte appunto quanto sia un soggetto più o meno di sinistra, e cocentrandosi magari sui cosiddetti beni comuni, sui diritti, etc.

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