(post necessariamente lungo e in divenire)
Comincio con un’ammissione: nonostante mi consideri un ecologista e rifletta da anni sulla sostanziale inutilità dei termini destra e sinistra (e sul fatto che esistano semmai delle destre e delle sinistre e non soltanto, che possono essere sovrapposte, alleate, contrapposte, etc), per semplicità mi riconosco nell’espressione “benpensante di sinistra” utilizzata sul Messaggero dal sociologo Luca Ricolfi (che oggi poi ha usato l’orrido termine buonista in un’intervista al Fatto) per definire una certa “sinistra cieca” sull’immigrazione, che non capisce il distacco dal suo popolo e il fatto che la povertà sia “il problema sociale numero uno dell’Italia”.
Io non mi sento offeso dalle parole di Ricolfi, il cui messaggio nello spazio di un’intervista su un giornale rischia di risultare confuso con il solito insulto verso la sinistra che potrebbe pronunciare un Gasparri qualsiasi.
No. Cerco di capire quale sarebbe la soluzione migliore, al problema, cioè l’immigrazione, dato che secondo Ricolfi il M5s, a differenza della sinistra (questo concetto dal significato chiaro come Spirito Santo, appunto) “prende sul serio il problema” e capisce le esigenze dei propri elettori.
Perché Ricolfi non fornisce appunto soluzioni, si limita a esprimere un plauso per il ministro dell’Interno Marco Minniti, autore di una normativa che ha anche inasprito i controlli sui migranti. Il sociologo, in fondo, fa sua l’equazione + attenzione per i migranti – attenzione per i poveri. Che è assolutamente discutibile.
Se un problema esiste, da noi, non è l’immigrazione (che è un problema per chi è costretto o si sente costretto a emigrare, semmai). È l’impatto delle migrazioni sulle condizioni di vita dei lavoratori e dei cittadini dei paesi ospitanti, soprattutto in questi anni di crisi.
Quindi, proverei a ragionare sui punti seguenti, sapendo che spesso le contraddizioni non possono essere risolte, ma vanno bilanciate (sono uno sporco moderato, sì, lo so):
- Dire a chi è razzista che è razzista non basta e non risolve il problema.
Ma non si può neanche pensare, al contrario, di giustificare chi è razzista provando a spiegare che il problema non è la razza ma le caratteristiche della cultura di provenienza (per esempio, l’Islam: non siamo noi a essere razzisti, ma siete voi che siete islamici). - L’intolleranza verso gruppi culturali etnici geografici etc è un fenomeno abbondantemente difuso nel corpo della società e nelle sue varie articolazioni politiche, anche a sinistra, da tempo.
Ma non soltanto per ragioni di carattere più o meno economico (tu straniero arrivi e accettando condizioni di salario peggiori abbassi anche i nostri standard o ci rubi direttamente il lavoro): si prenda il caso dei Rom, che sono sempre stati al margine della società. - Il problema della possibile pressione economica da parte dei migranti esiste (importo braccia buon mercato e tolgo lavoro a te qui), ma esiste anche quello della delocalizzazione (tolgo il lavoro a te qui e lo trasporto dove ci sono braccia a buon mercato).
- Esiste un problema di sicurezza (in alcune statistiche del ministero dell’Interno emerge che gli stranieri autori di certi reati sono sovra-rappresentati rispetto all’incidenza statistica degli immigrati in Italia) ed esiste un problema di percezione della sicurezza, che ovviamente non sono la stessa cosa.
- Secondo alcuni studi (discutibili quanto volete), esiste un problema di limite percentuale oltre il quale la presenza di stranieri su un dato territorio suscita tensioni.
- C’è un problema di invidia sociale di gruppo per il quale aiutare migranti, rom o comunque strati sociali non solo (o per forza) deboli ma percepiti come diversi significa automaticamente trascurare i propri cittadini.
- La questione del cosiddetto ius soli temperato riguarda principalmente il punto 6: c’è chi teme che riconoscere la cittadinanza potrebbe indebolire la propria posizione.
Vanno però tenute a mente anche alcune altre cose, pur a rischio di essere didascalici:
- Le migrazioni di esseri umani sono una costante storica (e i conflitti che ne sono eventualmente nati o che le hanno provocate, anche).
- Le migrazioni attuali sono effetto di violenze, cambiamenti climatici e/o semplicemente della ricerca di prospettive di miglioramento economico; ma più in generale sono conseguenze di fenomeni storici, e soprattutto dello sfruttamento globale (che non ha portato solo progresso e benessere, appunto).
- Ma anche se le migrazioni sono causate di fenomeni storici, purtroppo non basta soltanto spiegarlo; le persono vogliono risposte rapide.
- Per impedire tali spostamenti bisogna rimuoverne le cause oppure bloccarli a prescindere.
- Al di là delle considerazioni etiche e politiche (considerato anche che esiste una dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e una Organizzazione delle Nazioni Unite, che c’è una pratica decennale di intervento umanitario anche armato, etc) bisogna valutare se tentare di bloccare le migrazioni con il ricorso alla forza, con muri, rimpatri o affidando i controlli a paesi extra Ue che non rispettano i diritti umani, sia poi realmente praticabile.
Qualcuno a questo punto dirà: tutto questo lo sappiamo, però bisogna essere concreti.
E allora proviamo, noi che crediamo nei valori di eguaglianza, libertà e solidarietà e bla bla bla a essere concreti.
Perché l’alternativa è il rafforzarsi di posizioni di suprematismo di sinistra, o meglio di una democrazia social-nazionale: ci rubate il lavoro e le donne, restatevene a casa vostra, pure se avete problemi (anzi, combattete lì contro i padroni).
- Occorre tutelare i lavoratori, tutti i lavoratori, dal punto di vista delle regole e dei salari, attraverso la legislazione nazionale e quella europea, in modo da evitare la compressione dei diritti.
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La condizione principale per ridurre i conflitti tra migranti e residenti (al netto della propaganda politica che soffia sul fuoco, sia per calcolo che per ideologia) è quella di aumentare la felicità collettiva. E cioé: bisogna trasformare le periferie in città; tutti devono avere diritto a una casa e all’assistenza, a servizi minimi decenti, a un ambiente non degradato. Centro e periferia devono accogliere in modo uguale (o meglio: il centro deve accogliere di più) i migranti e/o rifugiati, che non vanno ammassati.
La periferia non può essere il luogo dove accumulare e cercare di scaricare i problemi. - Bisogna aumentare il livello di (percezione della) sicurezza sia attraverso l’uso delle forze dell’ordine che attraverso sistemi di sorveglianza che, soprattutto, mediante le politiche di prossimità e di sicurezza partecipata. Avere un quartiere più vivo e solidale, sottoposto al controllo collettivo dei suoi abitanti, lo rende anche più sicuro per tutti.
- Per aiutare gli immigrati a casa loro bisogna spendere soldi. Neanche tanti, in fin dei conti, ma si tratta di aumentare il contributo allo sviluppo in alcuni paesi (che non può essere contributo a creare semplicemente condizioni di libero mercato, ma standard minimi di vita) e finanziare l’adattamento al cambiamento climatico in altri. Aiutare alcuni a tornare e altri a restare dignitosamente. Quindi bisogna decidere dove prenderli, questi soldi.
- La cultura serve, e l’educazione civica anche.
Magari non risolvono da sole i problemi, ma facilitano la comprensione e ne diminuiscono l’impatto. Sapere chi sono i migranti, da dove vengono e perché vengono, aiuta. E queste informazioni devono viaggiare nei luoghi collettivi, a partire dalla scuola e dalla rete. - Anche in questo caso, serve più Unione Europea e non meno.
Se gli altri paesi non vogliono ospitare migranti (ma ricordiamo che numerosi paesi europei, alcuni con un passato o un presente coloniale, hanno una popolazione di origine straniera molto più numerosa, sia in termini assoluti che percentuali, dell’Italia) possono pagare o contribuire in altro modo. Ma non possono eludere la questione. - (6 bis, meglio). L’intervento umanitario armato, se non in condizioni di urgenza assoluta per crisi gravissime, non porta da nessuna parte. E l’Unione Europea (di cui l’Italia fa parte, non è un può chiedere ad altri di mostrare le proprie virtù se non è in grado di dare l’esempio (e questo vale per tanti altri temi, a partire dalla lotta al cambiamento climatico). Quindi, la Ue deve avere un approccio unitario, occuparsi delle aree geografiche prossime e, soprattutto, cercare di aiutare.