Spero che non siate aridi come il mio amico Massimo, pace all’anima sua, quando si tratta di science-fiction. Per Massimo, “le storie di fantascienza, mostri, fantasmi, vampiri, horror” etc erano quella roba lì, una specie di blob informe dove confinare il non-realismo, per così dire (o piuttosto l’imitazione della realtà).
C’è un certo numero di testi di science-fiction che sono diventati best seller mainstream, o che comunque anche il pubblico che non segue la fantascienza conosce.
Uno potrebbe essere Fahrenheit 451, di Ray Bradbury. Un altro Blade Runner (o meglio, Do Androids Dream Of Electric Sheeps?), di Philip K. Dick. Non a caso, da entrambi sono stati tratti film famosi. Ma ce ne sono diversi altri. E c’è anche Stephen King a dimostrarci come l’horror possa diventare mainstream e parimenti come un autore di genere possa scrivere di tutto. O J. G. Ballard, autore indubitabilmente di fantascienza ma celebrato come scrittore in senso lato. O Kurt Vonnegut (che iniziò scrivendo fantascienza).
Non so quale sia il motivo della “promozione” a opere di letteratura tout court di certi testi di genere. Direi piuttosto che regna abitaulmente la miopia, nel continuare a distinguere tra quello che è letteratura alta o bassa (perché i generi sono considerati intrattenimento, quindi una cosa bassa, appunto). Ma so che New York 2140 di Kim Stanley Robinson, uscito a fine 2017 (in Italia come negli Usa) è un gran libro (e anche un grosso tomo, con le sue oltre 650 pagine).
È un romanzo su New York, sul suo spirito e sui suoi abitanti, sulle sue culture, sulla sua architettura e mobilità post-innalzamento degli oceani; sugli effetti del riscaldamento globale, sul capitalismo finanziario, sugli affetti. È un racconto corale (si alternano capitoli con protagonisti diversi, personaggi ben delineati: gli analisti finanziari Mutt e Jeff, l’ispettrice di polizia Gen, il trader Franklin, il factotum del Met, l’anonimo cittadino che racconta la storia naturale, architettonica, economica etc della città, la stella ambientalista del cloud Amelia, l’amministratrice del Met Charlotte, i ragazzini senza casa Stefan e Roberto) che si sviluppa a lungo, in parte come un thriller, anche se in certi momenti pare che non vi sia trama. È un romanzo politico, che parla di oggi, della crisi finanziaria ed ecologica. Preciso come un saggio, appassionante come un romanzo.
Mi hanno colpito le descrizioni di luoghi, i dettagli talvolta quasi maniacali, il racconto in prima persona di Franklin…
Lo confesso: mi sono segnato diversi passaggi facendo le orecchie ai fogli, dopo aver sempre spiegato ai bambini che non si fa, i libri non si sgualciscono, non ci si scrive sopra a penna. Ma leggevo la sera a letto, non avevo sotto mano segnalibri. Insomma, mi sono appassionato.
Un pensiero riguardo “New York sott’acqua”