Autobiografia & blogging

Perché si fa un blog? Per vanità, certo, per esibizionismo. Perché si ha qualcosa da comunicare, magari. Perché si vuole affermare la propria esistenza, soprattutto. Io esisto, anche se sul web, dove le tracce possono essere labili. Quanto c’entra però, se c’entra, il blogging con la diaristica, con l’autobiografia?
Ci ho pensato leggendo la tesi di dottorato – ancora non completa – di una mia amica. Tesi che s’intitola A Frozen Identity: Life Writing by Leftist Militants of the Armed Struggle in Italy (Un’identità congelata: la biografia dei militanti di sinistra della lotta armata in Italia e qui scatta il collegamento con i due post precedenti).
Nel testo c’è un passaggio dedicato proprio alla questione dell’autobiografia, della memorialistica, in Italia. Anzi, alla scarsità di autobiografie. E’ la citazione di una citazione, ma è comunque interessante, mi pare.

“Nella rubrica settimanale “Vizi & Virtù”, che tiene sul Venerdì di Repubblica, in un articolo intitolato “Perché abbiamo poca memoria” Piero Ottone si interroga sui motivi per i quali in Italia si scrivano poche autobiografie e in particolare manchi una tradizione memorialistica delle classi dirigenti, di chi governa le sorti del Paese.
Le motivazioni che Ottone enumera sono principalmente tre: per scrivere le proprie memorie bisogna anzitutto essere a riposo, mentre in Italia i personaggi che “fanno la storia”, più che altro politici e imprenditori non vanno mai in pensione, non si ritirano mai.
La seconda è più maliziosa: i politici e i grandi imprenditori italiani non scrivono autobiografie perché hanno molto da nascondere e preferiscono “lavare i panni sporchi in famiglia”. A questa affermazione Ottone però contrappone il fatto che anche in alti Paesi dove il genere autobiografico è ben solido e supportato da un pubblico vasto e fedele (tipicamente nei Paesi anglosassoni) sicuramente governanti e uomini d’affari avranno magagne più o meno gravi da nascondere, non per questo nessuno si racconta.
La terza spiegazione è di tipo cultural-religioso, ovvero per scrivere le proprie memorie bisogna essere protestanti e non cattolici:
“I protestanti assumono la responsabilità delle loro azioni, ne parlano in piazza; i cattolici preferiscono mormorare nel segreto della confessione, inginocchiati davanti al padre confessore di cui neanche vedono il volto: gli uni cercano l’espiazione, gli altri il perdono.
Quali che ne siano le cause e le motivazioni, lamenta il giornalista, le conseguenze che ne derivano sono “un grave impoverimento della nostra vita culturale, della nostra identità nazionale”.
Non possiamo comprendere ciò che oggi siamo, come popolo, come nazione, se non conosciamo bene, intimamente, i personaggi che hanno partecipato agli avvenimenti principali della nostra storia.

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