Ecco quel che scrive Farnaz Fassihi, corrispondente da Baghdad del Wall Street Journal. La lettera è di ieri: ” Essere un corrispondente estero a Baghdad in questi giorni è come essere virtualmente agli arresti domiciliari. Dimenticate tutti i motivi che mi hanno portato a fare questo lavoro: una possibilità di vedere il mondo, esplorare quel che è esotico, incontrare gente nuova in terre lontane, scoprire i loro costumi e raccontare storie che possono fare la differenza.
Poco a poco, giorno per giorno, il fatto di essere in Iraq ha messo in discussione tutte queste ragioni. Sono confinato in casa. Esco quando ho un buon motivo per per farlo e un’intervista fissata. Evito di andare a casa della gente e non cammino mai per strada. Non posso più andare al negozio di alimentari, non poso andare al ristorante, non poso conversare con stranieri, non posso girare in auto a meno che non sia un veicolo blindato, non poso andare sulla scena di una notizia d’ultimora, non posso restare bloccato nel traffico, non posso parlare inglese fuori casa, non posso viaggiare lungo le strade, non posso dire di essere americano, non posso indugiare ai checkpoint, non posso essere curioso di quel che la gente dice, fa, sente. Non posso fare questo e non posso fare quest’altro. Ci sono troppi allarmi qui vicino… un’autombomba è esplosa talmente vicino alla nostra casa che ha mandato in frantumi tutte le finestre. Così adesso la mia proeccupazione più forte ogni giorno non è scrivere un pezzo super-importante ma restare vivo e assicurarmi che restino vivi anche i nostri dipendenti iracheni. A Baghdad io sono prima di tutto un addetto alla sicurezza, in secondo luogo un giornalista”.
Il resto lo trovate qui.