Il comunismo è una gran bella idea che nessuno finora sembra essere riuscito a realizzare. Per la Rai, intesa come emittente del servizio pubblico, vale grosso modo lo stesso discorso. L’informazione Rai è ormai ridotta a una triste e prevedible rassegna di commenti di esponenti politici che – dato il numero altissimo dei partiti di cui dar conto, l’asservimento dell’azienda alle logiche partitocratiche e i tempi necessariamente rapidi di tg e gr – si producono in frasi a effetto piene di insulti per gli avversari e che non aiutano a capire un accidente del tema in discussione. Che viene infatti liquidato in pochissime battute per dare spazio al dibbbattito.
Le uniche notizie su cui riusciamo a avere qualche dettaglio sono quelle dall’estero, anche se da Londra si parla quasi solo delle manie dei britannici o dei peli del culo del principe Charles e le notizie dall’Iraq arrivano da New York.
La “par condicio”, malattia senile della partitocrazia, tracima anche nelle fiction, che quando non ci ammorbano con storie di santi, eroi e navigatori, corpi dello stato, medici e paramedici offrono ricostruzioni storiche di parte secondo il colore politico di chi è al governo. Che palle.
Di fronte a questo, la vera liberazione non è continuare a difendere questo carrozzone, spacciandolo per servizio pubblico. Non c’è solo la tv analogica. C’è il web, ci sono i satelliti, c’è la tv digitale. C’è un mondo, fuori dal televisore, insomma.
E allora, che si privatizzi, questa Rai. Se non tutta, in parte. Che si moltiplichino i canali. Fate un servizio al pubblico.