Questa mattina ho intervistato per telefono Loredana Lipperini sul suo libro “Ancora dalle parte delle bambine“, che sto leggendo, con l’obiettivo di farne un pezzo per l’Agenzia Globale Totale. Credo che non riuscirò a finirlo prima di lunedì, il pezzo, ma intanto ecco qualche stralcio della registrazione di quella che in certi momenti è stata più una chiacchierata che un’intervista. Ragion per cui posto le parti più interessanti e intellegibili…
Nel tuo libro mancano le classiche conclusioni.
“In realtà una conclusione c’è: è quella di lavorare sull’immaginario, che non viene esattamente posta alla fine ma che attraversa tutto il libro.
Io continuo a sostenere che è la cosa più importante da fare, anche se è la più difficile, perché devi andare capillarmente in qualsiasi luogo dei media, che sia la carta, che sia la tv, la Rete, che sia la scrittura, bisogna ripartire da qui.
Devo dire che improvvisamente girando in Rete, ma non solo, sto notando che quanto meno è cresciuta l’attenzione su queste tematiche, mi fa un piacere enorme.
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L’iniziativa che ha annunciato Emma Bonino per il 2008, che è questa campagna “ti spengo e non ti compro” sulle pubblicità o i programmi televisivi, così lei diceva, che risultino offensivi per la dignità della donna, mi sembra comunque un passo importante, perché fino a questo momento non si era proprio posto il problema. Non se lo sono posto gli scrittori e le scrittrici, non se lo sono posto gli sceneggiatori dei cartoni animati e dei film… ecco, allora, se si comincia quanto meno a riflettere non in modo censorio, però in modo propositivo, su questo punto secondo me i passi in avanti ci potrebbero essere, ed enormi.
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Quello che ho fatto è disegnare una mappa. Noi siamo qui, in questo momento, questo è quello che abbiamo intorno. Poi, siccome purtroppo come genitori siamo stati letteralmente assediati dagli esperti, cioè da tutti coloro che in anni e anni di manualistica, di interventi in dibattiti televisivi, in rubriche sui magazine, ci hanno detto quello che dovevamo fare, non mi volevo unire all’allegra compagnia, in nessun modo.
Questa è una mappa, e il lavoro da fare è intuibile. Il primo è… personale, educarsi a interpretare i simboli”.
C’è stato un complotto contro le bambine in questi ultimi 10 anni o è piuttosto che una serie di belle idee (sulla parità, etc.) non avevano poi gambe?
“Pensa soltanto a un discorso apparentemente di nicchia come quello della scrittura, dell’editoria, che è quello di cui poi mi occupo. E’ abbastanza impressionante che in Italia si pronti a protestare perché da Officina Italia vengono dimenticate le scrittrici, però se vai a guardare la stragrande maggioranza della produzione letteraria a firma femminile, è drammaticamente ombelicale.
Ci sono pochissime donne che raccontano storie, pochissime donne che mettono in atto quel che veviva fatto con Madame Bovary, dove un uomo in quel caso raccontava un personaggio femminile. Ci sono pochissime donne che fanno questo. Raccontano se stesse in modo piccolo. Ci sono sogni piccoli, ci sono scritture piccole e ci sono dimensioni piccole….
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Da una parte ci si è dimenticati?, di lavorare su questo, dall’altra parte c’è un discorso economico sui consumatori, che ovviamente è enorme. E’ vero quello che dice Anna Maria Testa che sia la pubblicità che il mercato non anticipano quello che succede ma lo seguono, però tutta la suddivisione del consumo in generi, e quindi tutti gli stereotipi di genere che ne sono discesi, che riguardano sia adulti che bambini, le adulte e le bambine, soprattutto, arrivano da lì, in qualche modo.
Perché è chiaro che avendo il mercato la necessità di anticipare l’età del consumo, e quindi di abbassare il famosissimo entry point, sapendo che le bambine sono delle enormi lettrici, come lo saranno da adulte, chiaramente induce a consumare…”.
Nell’ultimo capitolo dedichi moltissimo spazio in particolare al Web. L’impressione è che in fondo la tua conclusione sia che siccome è sulla rete che ormai si travasano e si veicolano sempre più i contenuti, l’immaginario, è lì che bisogna cominciare a combattere.
” Internet secondo me offre delle possibilità di ribaltare tutto questo, sia a livello narrativo e simbolico…
Intanto (bisogna) cominciare a discuterne… andare a vedere cosa stanno facendo i ragazzini e le ragazzine. Soprattutto in America, hanno capito con che strumento hanno a che fare
Qui entra in ballo la scuola, che però continua a vedere Internet come un’agenzia di sapere minacciosa, e non complementare.
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Se io fossi un’insegnante di italiano e sapessi che esistono le fan fiction e me le leggessi le userei, così come succede in America, banalmente.
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La scuola da questo punto di vista è fuori dal mondo delle ragazze e dei ragazzi…
Ho riportato i dati una ricercatrice, Irene Biemmi, che ha fatto per Polite (Pari opportunità nei libri di testo) una ricerca per la Regione Toscana prendendo in esame i testi obbligatori di quarta e quinta elementare delle maggiori case editrici. Cosa è uscito fuori? Che gli stereotipi di genere erano ancora più pesanti e gravi di quello che è la realtà. Esempio: la maggior parte dei padri lavora, la maggior parte delle madri sta a casa; la maggior parte delle professioni degli uomini sono stupende, affascinanti, le professioni delle donne sono fata, strega, nutrice, mamma.
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Ma c’è anche qualcosa di più pesante. Ci sono racconti con bambini che protestano perché la mamma lavora.
Ci siamo angosciati per anni sulla televisione, su Internet, considerando la carta virtuosa in sé. Si scopre invece che il messaggio più pesante viene dalla carta, addirittura dalla carta ufficiale. Ecco, su questo va fatto immediatamente qualcosa.
Se io devo vedere che la maggior parte delle donne adulte nei libri delle elementari viene rappresentata mentre accudisce, si trucca o si veste, è inutile che poi vado a prendermela con le Winx o con la televisione”.
Perché parlare di femminismo sembra una cosa vecchia, passata e polverosa?
“In parte perché la generazione di mezzo… le trentenni davvero hanno recepito di tutte le battaglie femministe… l’idea della femminista coi baffi e incazzata, che non era la loro, in cui non si riconoscevano e di cui coglievano soltanto la nota separatista, la nota aggressiva nei confronti dei maschi.
Qui sarebbe interessante capire perché sia passata solo quest’immagine a dispetto del resto. In questo c’è anche un po’, un po’ tanto, la responsabilità di parte del femminismo storico che ha sempre usato e che continua a usare dei linguaggi di casta”.