Scrittore (dilettante) su scrittori

Qualcuno dice che gli scrittori non dovrebbero esercitare mai l’arte dei critici e viceversa. A maggior ragione noi scrittori dilettanti che siamo anche giornalisti-critici dilettanti — nel senso che lo facciamo quando ci resta tempo dal resto delle cose con cui ci guadagniamo la pagnotta.
Probabilmente è così, ma tanto l’effetto serra, la globalizzazione, il riscaldamento globale e la crisi dei subprime hanno incasinato tutto, che ci volete fare.

Ragion per cui, mentre Novamag resta ancora OFF (ma è in corso una verifica paziente per capire se e come lanciare un Novamag 2.0) scarico qui le mie osservazioni sui libri di due giovani autori italiani che ho letto da poco. Sperando di non prendermi qualche vaffanculo, anche.

Il primo è 31 Ottobre, che Glauco Silvestri, l’autore mi ha perfino spedito gentilmente a domicilio. L’ho letto in un paio d’ore, sia perché è breve (128 pagine) sia perché volevo capire come andava a finire.
La trama è sinteticamente questa: il 31 ottobre, una serie di omicidi bizzarri fanno correre per Bologna due graduati dei Carabinieri – un tenente e una sotto-tenente – a caccia prima di un presunto serial killer, poi di un altrettanto presunto (nessuno è colpevole fino al giudizio…) evento soprannaturale.
Siamo alla vigilia di Hallowe’en, e la data è fondamentale. Fondamentale è anche il fatto che Bologna sia stata una città conquistata dai Celti. Tenetelo a mente.
Il finale? E’ a sorpresa.
La storia acchiappa, è interessante, nonostante i serial killer siano argomento noioso, e letterariamente abusato (soprattutto in un paese come l’Italia, dove quasi non esistono). Nonostante la prevedibilità dei rapporti tra i due inquirenti. Nonostante alcuni passaggi molto poco plausibili (il modo in cui vengono compiuti i delitti, per dire, specie quello sul bus).
Una storia del genere meritava però di essere sviluppata in più pagine, perché c’era ampio spazio per raccontare, per esempio tutta la vicenda celtica e di Hallowe’en e il rapporto con Bologna, anche se la trama si svolge in poche ore, in fondo.
Insomma, poteva essere un “Codice da Vinci” italico, per così dire (lo so, il richiamo è abusato, ma intendo un libro strutturato, complesso e avvincente, perché il “Codice” lo è, nonostante le sviste o le cazzate).
Invece, sembra che l’autore avesse fretta di finire, arrivare alla meta. Sentimento che posso comprendere, visto che quando ho scritto “NoCompromise” era sfinito e avevo voglia di finire (ma succede solo a noi dilettanti, ormai in là cogli anni, con lavoro e figli? Me lo chiedo).

Sezione Pi Greco, di Giovanni De Matteo, l’ho trovato invece in edicola, e l’ho acquistato per curiosità. Ma è stata una delusione.
Motivi di interesse, nella storia, ce ne sono. L’idea di una squadra di investigatori neuromanti (che cioè interrogano post mortem le vittime) non è affatto male. E anche la scelta di ambientare la storia a Napoli. Ma l’intreccio noir è invece abbastanza scontato, in fondo. E i personaggi sono fotocopie di modelli abusati.
Se Blade Runner (soprattutto il film) faceva volutamente, e bene, il verso agli hard boiled, “Sezione Pi Greco” fa il verso male a Blade Runner – e dunque a sua volta agli anni 40 -, anche perché il libro è pieno di citazioni e omaggi a Philip K. Dick (e A Gibson). Non casualmente, se è vero, come leggo, che De Matteo ha dato vita con altri a un movimento letterario, il connettivismo, che sarebbe la versione italiana con 20 anni di ritardo del Cyberpunk (cioè quello che i cosiddetti cyberpunkisti chiamavano “Mirror shades”, titolo anche di una significativa antologia).
Il libro poi è pieno di presunti estratti e schede tecniche piuttosto noiosi, e che disturbano la narrazione.
Anche in questo caso, come in 31 ottobre, la materia c’è. E dire che De Matteo ha anche vinto il premio Urania. Ma, in questo caso come in quello di “31 Ottobre” (che però è pubblicato da una piccola casa editrice, non da Mondadori), sembra mancare un editor, uno che ti consiglia, ti indica una strategia, ti aiuta con l’esperienza.

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