Non era un risultato scontato, ma era largamente atteso, quello di oggi alla Camera dei deputati. Nel senso che un conto era il pallottoliere di Prodi e Veltroni nel 1998, un altro la calcolatrice elettronica (qualcuno dice il registratore di cassa) di Berlusconi oggi.
Molti ci avevano sperato, molti si erano esaltati, molti si erano illusi. In realtà, in questi giorni le trattative sotterranee nel centrodestra non si sono mai interrotte, di pari passo con lo scambio di insulti in pubblico. Si trattava, e si tratta, perché non è ancora finito – di uno scontro di potere interno.
Berlusconi, il più straordinario fenomeno politico italiano del Dopoguerra – altro che il dimenticabile Bettino Craxi – probabilmente avrà ogni giorno qualche problema in più da risolvere, oltre a quello dell’età (e dei suoi acciacchi, anche). Oggi può legittimamente festeggiare, perché comunque ha inferto un colpo grave, forse mortale, a Fini.
Ma la partita, che si gioca tutta dentro il centrodestra, non è ancora finita.
Adesso il premier potrebbe anche riuscire nell’intento di allargare la maggioranza, recuperando truppe finiane e anche allargando all’Udc. Una circostanza, questa, che al centrosinistra potrebbe però far bene.
Se Berlusconi riuscisse a recuperare o allargare la maggioranza, Fini perderebbe definitivamente il suo (peraltro spesso incomprensibile) appeal politico (si ritirerà a Montecarlo?), e comunque il governo dovrebbe vedersela con tensioni costanti al suo interno fino al 2013, o quando sarà. In ogni caso, però, il centrodestra tornerebbe finalmente insieme, senza equivoci.
Se invece il tentativo di reunion fallisse, e Udc e finiani restassero fuori, ogni giorno il governo avrebbe il suo bel da fare per sopravvivere, fino a cadere, in qualche momento dell’anno prossimo.
Nel caso di una nuova e definitiva crisi, il cosiddetto Terzo Polo non potrebbe allearsi con Pdl e Lega, alle elezioni anticipate. E lo scontro tra loro dovrebbe, potrebbe andare a vantaggio dell’opposizione di centrosinistra.
Perché, va detto, comunque vada, il centrosinistra (che ha vinto già nel 2006 le elezioni con l’attuale sistema elettorale), o quel che sarà, avrà certamente modo di farsi ancora del male, come temono in molti.
Ma anche di evolvere, anche con un riequilibrio al suo interno.
Sconfitto Fini e con l’Udc pronto a tornare eventualmente al governo, gli ex margheritini pronti a fare i bagagli verso il Terzo Polo saranno probabilmente portati a pensarci più e più volte. Se invece il centrodestra dovesse andare definitivamente in crisi, la scelta di lasciare il Pd potrebbe chiarire il quadro.
Dopo aver perso una decina di parlamentari, l’Idv, la cui ragione principale di esistere sta nell’opposizione a Berlusconi, perderà consensi a favore, probabilmente, del partito di Beppe Grillo. Ma anche, potenzialmente, verso altri partiti, di tutti gli schieramenti. E comunque la figura di Di Pietro sarà messa di nuovo in discussione.
Vendola dovrà decidere se strutturare il suo partito (Sel), fare altro o se provare a forzare il Pd, ma in ogni caso rischia di tirare troppo la corda come candidato di lungo, lunghissimo corso alla candidatura a premier.
I due e più partitini comunisti proveranno a tenere duro, nell’idea che la crisi globale li premi in termini di consensi. E i radicali magari riusciranno a rendersi più autonomi da Marco Pannella.
E c’è lo spazio, e il tempo, anche per un soggetto politico diverso, che non faccia della questione destra-sinistra o dell’opposizione a Berlusconi (che comunque tra poco più di due anni sarà fuori dal quadro) la sua cifra, cercando di rivolgersi al più ampio numero di persone. E vediamo se questo soggetto sarà quel che uscirà dalla Costituente Ecologista (che al momento guadagna tempo) o altra cosa ancora. O nulla.
Le chances il centrosinistra le avrà, insomma. Ma non si tratta di un processo dagli esiti scontati. L’Italia – stando ai risultati elettorali – è oggi molto più di centrodestra non solo rispetto a 12 anni fa, ai tempi del primo Prodi, ma anche del 2006 (anche per effetto del sistema elettorale, certo: l’Udc infatti occupa anche uno spazio all’opposizione).
La situazione può sempre cambiare. Può farsi strada un nuovo centrodestra post-Berlusconi. Ma può anche avanzare qualche altra cosa, chissà, una sorta di nuova coalizione democratica.
Oggi il Pd teme soprattutto l’eventualità che la crisi si riassorba dentro al centrodestra “classico” (Berlusconi, Bossi, Casini, Fini) e dice di non volere le elezioni anticipate. Ma senza passare per le elezioni, in un sistema che ormai diverso da quello pure disegnato dalla Costituzione, si rischia comunque di essere percepiti come truffatori, imbroglioni, arrivati al governo con un sotterfugio.
Ed è proprio quel centrodestra che dovrebbe invece riformarsi per poi essere definitivamente sconfitto, invece di moltiplicarsi nella variante Fini o Terzo Polo.
La strada della “responsabilità nazionale” (per quanto oggi poco probabile) rischia invece di costare di più al centrosinistra che non al centrodestra. La “politica dei sacrifici” può essere anche imposta da un governo tecnico, ma non certo accettata di buon grado senza un “patto” che oggi nessuno pare in grado di sottoscrivere. E il centrosinistra pagherebbe, dopo, per aver contribuito a imporlo.
Quello che è successo oggi a Roma è di nuovo un segnale di un paese attraversato da una grande rabbia, soprattutto dei giovani. Che però produce per ora frutti avvelenati: violenza, non voto, sfiducia. Il punto non è di incalanare la rabbia (lo fa già la destra, a modo suo), ma di dare speranza.