Qualcuno lo dica. Mike Bongiorno è morto.
C’è qualcuno che si è fregato la sua bara, d’accordo, ma mister Quiz non c’è più, da oltre un anno, e quel che resta di lui, se va bene, sono ossa e poca roba con cui non vorrei francamente avere a che fare.
Mike Bongiorno non tornerà più, a meno che non sia vera la storia della Risurrezione (personalmente nutro un cauto scetticismo). Ma anche che fosse, ci vorrebbe un bel po’ di tempo, diciamo.
Questa storia (più di quella del “rapimento” della salma di Enrico Cuccia, perché Mike era nazpop) fa riafforare in noi cose buie, ataviche e in fondo paurose.
I più colti citeranno Antigone e la vicenda della mancata sepoltura di Polinice.
Qualcun altro ragionerà sulla nostra disabitudine ad avere a che fare con la morte (vedi il saggio di Philippe Ariès). Disabitudine solo apparente, visto che poi in queste circostanze si scatenano comportamente irrazionali e primitivi, tipo la famiglia che chiede il contatto coi rapitori, oggi: “Ridateci Mike”. Ma quale Mike? Mike è morto.
In fondo un economista cinico potrebbe dire che è giusto così, che in questo modo (ancorché criminale) si mettono in circolazione denari altrimenti immobilizzati. E i trafugatori in questione sono anche in qualche modo innovatori, visto che hanno individuato una nicchia (anzi, un loculo) di business potenzialmente vasto.
Ed è anche interessante il riflesso sociologico della vicenda. Prima (fino agli anni 70-80) si rapivano i vivi, ora si sequestrano i morti: paradigma dell’Italia della terza età?
Però, confesso, a me tutta quaesta vicenda m’ha rinforzato nel saldo proposito di farmi cremare, quando sarà (mano agli zebedei), e spargere poi in aria e per il mondo.
“Era un pagliaccio, finì in coriandoli”, mi piacerebbe che commentasse qualcuno.