(approfitto del fatto di essere a casa malato: magari vale anche come scusante, dato l’argomento)
Il più grande spettacolo della tv italiana dopo Sanremo è… Sanremo.
Non lo dico soltanto perché sono un Sanremofan da oltre 30 anni. Be’, anche per quello, certo, anche se non sono il tipico consumatore di musica sanremese.
Però, ecco il mio ragionamento. Ogni Paese ha la sua specialità tv: prendete gli Usa, col SuperBowl, che è un evento seguitissimo (l’ultimo se non sbaglio ha fatto quasi 40 milioni di spettatori), prendete i canali latinoamericani con le novelas. Prendete l’Italia, con Sanremo.
Non mi spingerò fino a dire che Sanremo sia lo specchio del Paese.
Può essere anche soltanto lo specchio che si vorrebbe dare all’Italia, che è un posto più complesso di un festival canoro (che però, come ha accennato qualcuno, ha un sistema elettorale di una certà complicazione…). Però è comunque l’evento tv dell’anno da decenni. Se ne parla per mesi prima, se ne parla dopo, si sentono le canzoni che hanno vinto e spesso quelle che non hanno vinto assurgono alla gloria radiofonica e delle vendite, e anche questo qualcosa vorrà dire.
Nel frattempo sono spuntati altri (tanti) canali, altri programmi, altri linguaggi tv, certo. Però, continuiamo a fare i conti con Sanremo. Si è detto e ripetuto che i reality musicali stanno producendo, negli ultimi anni, i vincitori materiali (e spesso morali) del Festival. Che però vanno a Sanremo per ottenere la consacrazione, questo è il punto.
E tutti i contro-Sanremo nati e morti in questi anni sono anch’essi comunque una conferma dell’importanza del Festival, della centralità che gli si assegna, come podio, come rito. Da ultimo, ha provato a sfruttare l’onda anche un nuovo media come Linkiesta, ovviamente nel nome dell’anti-Sanremo. E lo stesso uso massiccio di Twitter in quest’ultima edizione per commentare il Festival è una conferma della centralità dell’evento anche per un pubblico hipster (e per i twipster in particolare).
I tentativi di riformare Sanremo sono probabilmente tutti destinati a fallire, perché fondamentalmente cercano di snaturare un evento che è in se stesso canone, con cui, al massimo, ci si confronta.
Non è un caso che i conduttori “nuovi” – si fa per dire – o colto-pop come Fazio o Chiambretti – o anche Ventura “commissariata” da Gene Gnocchi e Paola Cortellesi – siano andati all’Ariston. Sanremo cambia, un poco, ma non si cambia. Al massimo, si abbatte.
PS: Detto questo, confesso che la mia edizione preferita degli ultimi anni è quella maledetta del 2004, con Tony Renis direttore artistico, le case discografiche sul piede di guerra contro la Rai, l’arrivo di Celentano (e con un monologo da delirio del summenzionato Renis che quella di Celentano all’ultimo Festival pareva una lezione di lucidità), concorrenti come Neffa e il Piotta, fantasmi sul palco (i Blues Brothers con Amedeo Mingardi e i Gipsy Kings con Massimo Modugno)