Due Lincoln sorprendenti

Peccato che non abbiate visto “La leggenda del cacciatore di vampiri (Abraham Lincoln: Vampire Hunter)” , uscito da noi nell’estate 2012, prima di confrontarvi con il “Lincoln” di Steven Spielberg.

Intanto, perché avreste avuto un’infarinatura minima sulla vita del presidente più amato e odiato degli Stati Uniti nel XIX secolo, mentre il film di Spielberg si concentra su un arco di tempo molto breve, quello attorno all’approvazione del 13esimo emendamento della Costituzione americana, che abolisce la schiavitù, e la fine della guerra civile.

Certo, il Lincoln che caccia i vampiri è piuttosto pulp, con la sua ascia insanguinata, apparentemente lontano dall’eroe tragico e politico a tutto tondo del film attualmente in sala. Ma su entrambe le storie pesa una profonda cupezza.

Il film di Timur Bekmambetov, basato sul romanzo omonimo, racconta infatti che la madre del giovane Abramo è stata uccisa da un vampiro, e che l’odio di Lincoln per le creature mutanti lo trasformerà in un  cacciatore implacabile fino a quando deciderà di mettere da parte l’ascia e di combattere con la politica i vampiri, che sono in realtà ai vertici degli stati scessionisti del Sud.

E sarà non solo la liberazione degli schiavi (i quali sono la principale fonte di cibo per gli esseri mitologici) ma anche la confisca dell’argento, necessario a forgiare pallottole che uccidano i vampi, a far vincere la guerra all’Unione contro la Confederazione. Non prima, però, di ostare la vita all’amato figlio Willie, ucciso da una vampira addirittura alla Casa Bianca.

Il parallelo vampiri-sfruttatori è interessante, anche se non nuovissimo, per così dire. Se i padroni capitalisti sono tradizionalmente succhiasangue nell’immaginario anticapitalistico, in questo film il sangue lo succhiano davvero.
E se avete visto “Lincoln” – o anche se avete una conoscenza minima della storia degli Usa –  saprete che lo schiavismo ebbe un’importanza fondamentale per l’economia degli stati del Sud, dato il ridotto costo della manodopera. Lo ammette alla fine uno dei negoziatori inviati dal governo confederato.

Ma anche il Lincoln spielberghiano è sorpredente, a suo modo. Intanto è un film da camera, cosa rara per il regista (a me però ha ricordato, almeno per questo elemento e per il periodo storico, il “Noi credevamo” di Mario Martone). E’ poi un film sulla politica, la politica Alta che si mescola a quella spicciola e quotidiana che di questi tempi, con tutta la retorica sulla Casta e l’Anticasta conosciamo bene.
E ancora, è un film sorprendente per chi pensa che i repubblicani siano cattivi e i democratici buoni, mentre storicamente erano i repubblicani (come i democratici divisi in una quantità di fazioni di destra e sinistra) a battersi contro la schiavitù, come del resto il repubblicano Lincoln.

Paradossalmente, infine, il film più “grande pubblico” era proprio quello di Bekmambetov, uscito anche in 3d. Mentre quello di Spielberg potrebbe deludere gli spettatori meno “impegnati”, proprio perché è molto parlato e parecchio politico.

 

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