Nel corso degli anni ho rivalutato la politica delle quote e la cosiddetta affirmative action. Non è vero che basta limitarsi a dire che siamo tutti uguali, anche in politica e quando si va a votare alle elezioni, per cancellare secoli, se non millenni, di diseguaglianze praticate, teorizzate, soprattutto interiorizzate.
Le quote in sostanza, spingono a una maggiore eguaglianza. Certo, possono essere anche usate in modo distorto, per difendere in qualche modo privilegi, o più spesso per creare ghetti di fatto; ma il loro scopo resta, secondo me, totalmente valido.
Talvolta, però, le quote andrebbero usate anche al contrario.
Ci sono professioni tradizionalmente (ed è sempre un guaio, la tradizione: anche perché, come spiegava Eric Hobsbwam, ogni tradizione è stata inventata da qualcuno, ma sembriamo dimenticarlo) femminili, perché si è ritenuto che certe professioni fossero “da donne”.
Per esempio: l’insegnante, nelle scuole d’infanzia (non a caso si chiamavano materne) e nelle scuole primarie, ma anche alle medie. Per esempio, in molti lavori che riguardano la cura alle persone.
Da anni stiamo cercando di aprire anche alle donne tutte le professioni e i mestieri. La tendenza riguarda ormai anche le posizioni di comando, come è il caso dei consigli di amministrazione o dei governi, e ovviamente c’è una crescente politica delle quote per le elezioni a tutti i livelli.
Ma istituire delle quote azzurre nei lavori “tipicamente” femminili, cioè dove le donne ancora oggi sono in maggioranza assoluta o quasi, aiuterebbe sia le donne che gli uomini a liberarsi più facilmente degli stereotipi.
Non è possibile certamente decidere per legge che ci vogliano più maschi a fare il baby sitter (e me ne dispiace, perché sarebbe un bene per loro e per i bambini), ma si può invece stabilire che ci debba essere una quota minima di uomini a insegnare, o ad occuparsi dei bimbi negli asili nido o a fare assistenza sociale. Che non sono lavori “da donne”, ma al massimo attività per cui occorre sensibilità. Ma a parte che la sensibilità si apprende, anche, conosco tantissimi uomini sensibili e decisamente eterosessuali.
La società italiana continua a temere la pedofilia ma preferisce, a quanto pare, continuare a ignorare che essa avviene soprattutto in ambito familiare (o ecclesiastico: senza riflettere sul fatto che il celibato e l’assenza del sacerdozio femminile contribuiscono eccome), e che i pedofili si nascondono pure, per esempio dietro ruoli “maschilissimi” come l’allenatore di calcio. Dunque sarà dura far accettare tranquillamente che alla scuola d’infanzia ci sia un maestro affettuoso. Però la strada, secondo me, è questa.
sono molto d’accordo con te Max, non avevo pensato in questi termini, hai assolutamente ragione e hai fatto bene a sollevare la questione. scritto e esposto anche con molta chiarezza e con la tua solita verve
Ci insegnano i gender studies che i lavori tradizionalmente femminili sono tali perché peggio retribuiti e in basso nella scala sociale (metro di riferimento: potere e prestigio sociale). Inoltre, laddove vi siano selezioni pubbliche pare che le “femmine” abbiano la meglio sull’altra metà del cielo perché più preparate. Le quote rosa non sono come i posti messi a disposizione delle categorie protette, che devono livellare uno svantaggio dovuto a una disabilità fisica o psichica nei confronti dei normodotati (o almeno presunti tali): laddove la scelta avviene per coptazione, come avviene per esempio con la redazione di liste elettorali, le femmine semplicemente non vengono inserite in assenza di un obbligo perché li liste le fanno (facevano) prevalentemente i maschi. Le quote rosa sono servite ad aprire spazi sì, ma di tipo culturale (la sociologa Marina Piazza avrebbe detto che servono a rompere il semplice schema “maschio bianco chiama maschio bianco”). Pensare a delle quote azzurre per chi già può partecipare e parte da una stessa presunta “abilità” non ha senso, anche perché forse è l’azzurro che non è interessato ad un posto così mal retribuito come quello rosa.
In ogni caso al limite chiamiamolo quote celesti, che è più poetico e meno forzista.
Vada per quote azzurre. E certamente i lavori in questione sono mal retribuiti; ma lo sono perché lo fanno delle donne o lo sono di per sé? Direi la prima risposta, visto che in genere sono le donne a essere pagate peggio anche a parità di lavoro, in altri posti. In effetti io faccio un discorso di quote all’incontrario, e mi prefiggo prima di tutto uno scopo culturale.