Tutta la musica del mondo

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Se sono come sono, è anche per via di tutta la musica che ho ascoltato e che continuo ad ascoltare. Non soltanto io, ma tutti coloro che continuano a sentire musica, per i quali la musica è una parte importante della vita (come i libri, i film, i giochi, il collezionismo, le ricette e via citando).
Insomma, la mia biografia è anche una colonna sonora.

“Un uomo è i libri che ha letto, la pittura che ha visto, la musica ascoltata e dimenticata, le strade percorse. Un uomo è la sua infanzia, la sua famiglia, pochi amici, alcuni amore, parecchi fastidi. Un uomo è una somma diminuita da infinite sottrazioni”.

(Sergio Pitol, El arte de la fuga)

Da anni ho in mente la trama di un racconto che vorrei intitolare “Tutta la musica del mondo”. Sulla Terra, funestata da conflitti, sbarcano gli alieni e annunciano che distruggeranno il pianeta, se gli umani non cesseranno di combattere e non inizieranno a suonare tutta la musica composta in ogni epoca e luogo, diffondendola per la galassia.

Il primo giradischi, a casa dei miei, è arrivato quando avevo 9-10 anni. Fino ad allora, c’era stata solo la radio (e la tv). Il primo 45 giri che ho comprato era “I Feel Love”, il brano di Giorgio Moroder cantato da Donna Summer. Ma avevo già comprato 33 giri di musica classica dozzinale, cioè pop: Strauss, Respighi, altri titoli che non ricordo.

Nel frattempo, dicevo, c’era la radio: Radio Montecarlo, cioè quel che c’era di più simile alle radio private che intanto stavano arrivando (ma non avevo ancora l’Fm). Era il tempo (per me) della disco, della Febbre del Sabato Sera e di un sacco di hit dell’epoca. E poi, dei Kraftwerk. Ne ho scritto poi in un racconto pubblicato qui.

L’album che non si scorda mai, però, è stato quello dei Clash.  L’ho comprato nel 1979, cioè due anni dopo che era uscito, e quando già era in giro Give ‘Em Enough Rope. Era un’edizione blu (quella canadese?) con dentro un 45 giri, che conteneva Gates of The West e Groovy Times. Anni dopo, lo vendetti (tenendo però il 45). Ancora mi mordo le mani.

I Clash sono tutt’ora la mia band preferita. Non sono un fan(anatico) che ricorda tutte le canzoni a memoria. E per essere onesti, all’inizio il mio inglese era scarso, per capire bene cosa dicessero. Ma i Clash erano la somma perfetta di quello che mi piaceva (e mi piace ancora): casinisti, orecchiabili, rivoluzionari. Nell’unico libro che abbia finora pubblicato c’è anche una esplicita citazione loro, per la cover di “I Fought The Law”.

Ricordo gli esperimenti di radio musicale, anche. Cose da ragazzini: prima con una radio CB da cui, adolescenti, il mio amico Massimo inquinavamo le onde radio. Poi registrando ipotetiche trasmissioni con Alberto, Fabrizio e gli altri, quando eravamo già al ginnasio, con un registratore a cassette da pochi soldi. L’idea, a un certo punto, era quella di far circolare programmi con musica e voce su cassette, come una specie di primitivi podcast. Ma non andammo mai oltre le fantasie. Mentre Rosario (più noto come Enzo Mauri) ne ha fatto poi il suo lavoro di conduttore e dj.

Ricordo il primo concerto che abbia mia visto: nell’80, credo, sulla spiaggia di Castelporziano, la performance di Burning Spear, uno dei grandi del reggae giamaicano, organizzata da Radio Luna, dove all’epoca lavorava mio cugino Antonello. Ci accompagnò, eravamo io e Alberto, mio padre, che rimase con noi e si divertì. C’era un sacco di gente, odore di erba e “fumo” ovunque.

Ai Clash (he ho poi visto dal vivo nel 1984 a Roma), dicevo, si sono aggiunte tante altre cose. A parte il punk rock, lo ska e il reggae (partendo dagli Ub40, per la verità), che oggi ascolto ancora, il rap, dagli Sugarhill Gang in poi (anche se non mi piace il rap elettronico ma resto più affezionato a quello old school). E insieme la riscoperta degli anni 60 Usa e  i grandi miti morti (Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin), la west coast americana e perfino il country (dopo aver visto una notte Nashville in tv in versione originale: una fatica), il soul, il r’n’b.

Certo, ci sono cose che mi hanno fatto schifo (e a cui magari oggi guardo con bonarierà postuma, forse perché invecchio): Baglioni e Battisti, il pop italiano in genere (dalla Pausini in giù), la musica gaelica, il rock generico-banale (quindi, parecchia roba). Non sopporto Battiato, concettualmente, anche se poi mi piacciono alcune canzoni (ma trovo imbarazzanti i suoi testi). Ho ascoltato i cantautori, ma amato davvero solo De Gregori, credo. E ho continuato ad amare la musica anche politica (come la dance di sinistra degli anni 80, dagli Heaven 17 ai New Order passando per Scritti Politti e Animal Nightlife). Ma trovo insopportabili e patetici i musicisti che fanno endorsement per i politici.

Dalla fine degli anni 80 ho amato l’house e poi il garage, il big beat, il drum’n’bass, un sacco di elettronica e dance, musica africana, musica araba, musica balcanica, il j-pop e strani misti negli ultimi anni (un po’ la programmazione della parigina Radio Nova, insomma). Passando dalle cassette e pochi vinili ai tanti cd (che ho iniziato a comprare coi primi soldi dei primi lavori) e oggi, soprattutto al digitale.

E continuo a fare scoperte e a mischiare generi e autori (e anche per questo l’abbonamento ad Apple Music vale la pena, ascoltando musica mentre vado al lavoro o mentre corro). E a scambiare commenti e consigli di ascolto con due dei miei tre figli, cosa che a me non è stata mai possibile, perché i miei genitori erano davvero di un’altra epoca, e la distanza tra noi era più forte, nei consumi culturali, che quella che c’è oggi tra i miei figli e me.

Non ho mai imparato a suonare uno strumento, e da ragazzino ero anche abbastanza stonato (ma sono migliorato negli anni). In quello invece era bravo mio fratello Paolo, autodidatta prima con la chitarra e poi con il basso (e oggi con le tastiere), al punto da andare a suonare alla mitica Arezzo Wave col suo gruppo beatlesiano.

Non ho mai imparato veramente neanche a mixare dischi, neanche quando sono arrivati i programmi per farlo sul pc. Ma mi piace organizzare feste da ballo e preparare cd. Da qualche anno, con i miei amici più stretti, abbiamo un appuntamento almeno annuale con “l’Ospizio”, una festa di musica del passato (ho amici vecchi e soprattutto nostalgici). Un tempo quelle feste duravano ore, veniva e andava un sacco di gente (anche 150 persone), ci si sbronzava.
Oggi , spesso ci portiamo anche i nostri figli, che (giustamente) si rompono e vorrebbero Alvaro Soler (che piace pure a me, in fondo).

 

 

 

 

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