Sto seguendo la serie israeliana Fauda (Caos) su Netflix, e sono colpito dal livello di complessità rispetto a un’altra storia che ho amato, e che è estremamente famosa quanto spesso approssimativa, come Homeland.
Fauda è la narrazione di una caccia: una squadra speciale israeliana sulla tracce di un capo di Hamas creduto morto e invece ancora attivo. Un thiller articolato, non banale, in cui non ci sono semplicemente i cattivi e i buoni (o i cattivi che diventano buoni per poi morire, come la redenzione di Nicholas Brody in Homeland: serie che però è basata su un altro sceneggiato israeliano), ma che sembra entrare in profondità nelle relazioni, nelle motivazioni e nei caratteri dei personaggi.
Nella scena del raid alla festa di matrimonio del fratello del ricercato e in altri passaggi la narrazione è piuttosto equidistante, cosa non facile in un contesto come quello del conflitto-confronto israelo-palestinese.
Cacciati e cacciatori si somigliano, parlano una lingua simile (almeno alle nostre orecchie), hanno debolezze e comportamenti simili.
La serie fornisce anche insight interessanti su come funzionano le unità Dudevan, cioè quei reparti speciali delle forze armate israeliane che conducono operazioni coperte nelle aree urbane palestinesi.