Un sacco di musica (dischi volanti)

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Ogni tanto mi chiedono dove trovo il tempo per ascoltare tanta musica (è tutto relativo, per me è poca) e dove trovo album e tracce di cui parlo.

Sento poco la radio, a dire il vero, ma in questo caso pesco soprattutto da Radio Nova, che sento via web (grazie soprattutto alla fantastica Squeezebox Logitech). Più spesso, invece, navigo via smartphone su Apple Music, e mi faccio una prima idea di  album che potrebbero piacermi. Se no, leggo NME (da quando ero ragazzo: leggevo anche il Melody Maker, che poi ha chiuso) o le recensioni di Pitchfork. E ovviamente di Internazionale.

Detto questo, la foto che vedete è quella dei Foxygen  (nome che non so da dove venga, ma che a naso mi sembrerebbe un riferimento agli Sweet di “Love Is Like Oxygen e di Fox On The Run”…), band californiana in circolazione da un tot ma che non conoscevo, e che ho scoperto con Hang, un album fichissimo, una specie di riassunto musicale di generi diversi, a partire almeno dagli anni 60, con orchestra di accompagnamento, un sacco distrumenti, fiati e molto glam rock.
Dentro c’è veramente di tutto. Mi ha convinto già dalla prima traccia, Follow The Leader, che riecheggia un pomposo soul anni 70. Mentre On Lankershim sembra una rielaborazione degli intramontabili CSNY (che però arriva alla fine a suonare come Springsteen). Avalon è un pezzo quasi honky tonky con coretti. Insomma, tutto bello. Originale? Originale nel mix di suoni. Però forse per qualcuno potrebbe essere, mutatis mutandis, un esercizio nostalgico come La La Land (film che ha una bella colonna sonora, per inciso). Bello, ma tutto già visto.

Altri dischi belli.
Shikantaza, dei Chinese Man, una band hip hop francese che conosco dal 2009 (ai tempi di “The Groove Sessions” vol. 2). Come suoni, per me rientrano nel giro di altri gruppi francesi come Le Peuple de l’Herbe, Birdy Nam Nam, Deluxe, meno conosciuti da noi anche se sono su piazza da diversi anni. Non è rap, anche se nell’album ci sono pezzi rappati. Non è elettronica. Non è world (anche se c’è un pezzo che mi ricorda molto i Transglobal Underground). E’ un originale mix globale che definirei groove. Segnalo anche un brano, Malad, dove compare Alejandro Jodorowoski.

Stellular, Rose Elinor Dougall. Mi sono serviti un po’ di ascolti per apprezzare l’album di questa cantante e autrice britannica 30enne (che ha lavorato con Mark Ronson e fatto parte delle Pipettes). E’ fondamentalmente un disco pop (qualcuno dirà indie pop), orecchiabile ma non così facile, pieno di melodie che alla fine lasciano il segno.

Strike A Match, Sacred Paws. Dopo il Paul Simon di Graceland e i Vampire Weekend suonare rock in stile africano non è così originale, e il disco del duo femminile britannico composto da Rachel Aggs ed Eilidh Rodgers in effetti ha un che di già sentito, ma è piacevole. Il primo pezzo, Nothing, pare provenire proprio da un vecchio disco dei VW. Poi però ci sono anche echi new wave (come in Stars) e funky-disco (come in Voice)

Future Politics, Austra. Sono canadesi, fanno in sostanza synthpop (a tratti ballabile) non li conoscevo. Già il titolo dell’album mi piace: è tratto da  Inventing The Future: Post Capitalism in a World Without Work.  Katie Stelmanios ha una gran voce e diversi brani (come la stessa Future Politics e Utopia, per esempio: quest’ultima mi ricorda cose antiche degli Ultravox) sono molto belli.

Rapidamente. Mi piace anche Process, di Sampha (che conoscevo perché ha lavorato con gli SBTRKT e con Kanye West), anche se necessita di altri ascolti. Strano disco, tra elettronica e RnB (vedasi Like the Piano). E segnalo Love in Beats, di Omar, ormai un veterano del Neo Soul che ascoltavo 25 anni fa (magari qualcuno ricorda There’s nothing Like This). Disco piacevole, anticipato già mesi fa dall’ep I Want To Be (la traccia è anche nell’album).

 

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