Sono tra le vittime dichiarate del voto del 4 marzo. Non in quanto giornalista, che è il mio lavoro, ma come attivista – nel poco tempo “libero” – dei Verdi.
Nonostante i dubbi e le critiche mie sul centrosinistra (a Roma nel 2016 e in Italia) avevo condiviso la scelta dei Verdi di presentarsi con una lista unitaria (Insieme) con socialisti e prodiani, nella coalizione col Pd.
Lo avevo fatto pensando che il Sole che ride sarebbe riuscito a portare in Parlamento in ogni caso una o due persone, dopo 10 anni di assenza. Certo, in un Parlamento incasinato, con una legislatura forse brevissima. Ma sarebbe stato un modo per ripartire.
Sono stato sonoramente smentito. Non solo la lista Insieme ha preso lo 0,5% a livello nazionale (l’1% nel Lazio ma comunque senza eleggere nessuno: se fosse scattato il seggio sarebbe andato a un socialista), ma i candidati in collegi uninomimali ragionevolmente “sicuri” non ce l’hanno fatta.
Dopo tanti e tanti tentativi di ripartenza soprattutto elettorale, dal 2008 (ma io non c’ero, e anche nel 2013 non votai per la lista con Ingroia), arrivo a una conclusione personale: i Verdi sono finiti.
Non c’è stata soltanto la scissione verso Sel. Non c’è stata solo l’ulteriore scissione silenziosa (dei voti più che dei militanti) verso il Movimento Cinque Stelle. Non c’è stata solo l’alleanza col Pd (che pure secondo me era lo schieramento meno peggio da votare, il 4 marzo: lo avevo spiegato qui). C’è stata anche e soprattutto la tendenza all’autoconservazione di un gruppo, noi verdi, che ormai suscita solo ostilità o beffe. O tutte e due.
Sì, è vero, ai Verdi, che non contano più un accidenti, vengono rimproverate cose inverosimili: come dire “no” a tutte le opere pubbliche o al contrario sostenere tutti gli interventi disastrosi (dalle trivelle alla Tav) perché appoggia il Pd. Ma non possiamo rinchiuderci dentro l’idea che è colpa delle fake news, della stampa che non ci fila, dei pregiudizi.
Non è la questione ecologica che non interessa più (anche se certo c’è il tema del precariato e del lavoro che pesano parecchio, insieme a quello della qualità della vita nel complesso), sono i Verdi. Non siamo ritenuti credibili.
Il nostro gruppo dirigente ha purtroppo reagito al risultato elettorale col silenzio ufficiale. Ed è un errore che aggiunge pena alla delusione provata dai tanti (si fa per dire) che avevano sperato almeno di riuscire a portare a casa un piccolo risultato.
Alcuni esponenti storici dei Verdi, come Sauro Turroni, hanno detto che bisogna ricominciare e non perdersi d’animo, dopo aver analizzato la sconfitta. Con tutto il rispetto (e non lo dico solo per formalità), mi pare piuttosto inutile.
Al momento mi pare più sensata l’ipotesi di portare in cantina il simbolo e il nome. E di pensare.
Che pezza…