Una delle cose che questi anni di frequentazione dei social network dovrebbero averci fatto capire, è che far circolare a ripetizione post indignati sugli avversari politici, e in particolare sovranisti e populisti vari, rischia di produrre l’effetto di dargli maggiore visibilità.
In inglese c’è una frase che descrive bene la situazione: ”When the shit hits the fan”, quando la merda arriva al ventilatore, che poi la sparge in giro. Ecco, l’indignazione sui social rischia di avere esattamente l’effetto del ventilatore.
Non è che sia una novità. ”Nel bene o nel male, purché se ne parli”, è una frase che conosciamo tutti, attribuita un po’ impropriamente a Oscar Wilde, e prediletta dalla pubblicità.
Chi rilancia continuamente le mala-dichiarazione e le mala-azione, pensando di metterle nobilmente all’indice, non solo offre uno spazio in più, cioè la propria bacheca, alla propaganda (indicizzando ancora meglio sul web le pagine dell’avversario, e quindi rendendolo più visibile), ma non fa i conti anche con un altro elemento: gli orientamenti dei nostri amici, e ancor di più dei nostri amici e conoscenti su Facebook (e dei loro contatti), che non la pensano sempre come noi.
Coloro possono arrivare a considerare un proprio beniamino, un proprio paladino, il personaggio che invece noi ”schifiamo”. Perché li rappresenta. Perché rappresenta la loro rabbia (comprensibile o meno che sia).
Questo, beninteso, non significa che i friend ce l’abbiano con noi, che ci vogliano male. Odiano però magari l’idea che hanno di noi (buonista, radical chic, o semplicemente fesso etc: quella roba lì).
Ma, direte voi, e allora i media? I mass media (tv, radio, testate web, giornali) sono i primi a pompare certi personaggi. Verissimo. Lo fanno in parte perché è ovviamente giusto dare spazio a tutti nel sistema più o meno democratico dell’informazione. In parte perché i giornalisti sono innamorati, come molti di noi, del gossip e delle ”scimienze”, del pop da due soldi, dello “stronzismo”, delle dichiarazioni di mezzo minuto (il mondo va veloce e del resto pure noi vogliamo soluzioni velocissime a qualsiasi problema: dal telefono che non funziona ai rifiuti, passando per l’ondata dei migranti). In parte anche perché c’è un’agenda politica, per cui alcuni media pompano un personaggio pensando che così te lo faranno odiare (e ultimamente succede il contrario), altri perché credono che invece lo amerai. Più agende politiche però non significa che ci sia il complotto. Di solito c’è più casino che complotto.
Però, se siamo su un social, comunque, possiamo (e dobbiamo, secondo me) evitare di fare da cassa di risonanza di quelli che riteniamo i nostri avversari.
Ovviamente, le denunce sono legittime. Però, denunciare, e denunciare e denunciare ancora alla lunga, non serve a nulla (se non a tacitare la propria coscienza e a sembrare pure fissati). Non fa più rumore e, come dicevo, rischia di avere l’effetto opposto.
Vale lo stesso discorso, anche se l’effetto è in parte diverso, per gli allarmi, in particolare quelli sul cambiamento climatico, sullo scioglimento dei ghiacci, sulla scomparsa delle specie animali. ”Ehhh sì, una tragedia, un problema gravissimo, bisognerebbe fare qualcosa, ehhh… a proposito, ma che ha fatto la Roma?” (o: che c’è su Netflix? Andiamo a fare l’aperitivo? Hai visto che fico sto telefono? ecc ecc).
Gli allarmi senza alcuna idea di azione servono soltanto a deprimerci e a convincerci che, tanto, non possiamo fare nulla. Ma non è vero: possiamo sempre fare qualcosa, per piccola che sia (fosse anche soltanto smettere di usare certi prodotti), e possiamo condividere idee per farlo. Lo so, in fondo anche questa rischia di essere una pia illusione, ma mi sembra preferibile alla certezza del nulla.
E magari ogni tanto possiamo anche uscire dai social per parlarne, e per organizzare la speranza.
(questo post è stato pubblicato su Huff il 19 agosto 2019)