
Qualche mese fa, in pieno lockdown, sul Corriere della Sera è comparsa la notizia di un “cimitero virtuale” su Facebook: una pagina del social appositamente dedicata ai necrologi, creata da un gruppo editoriale veronese, per consentire di commemorare i defunti in un periodo in cui i funerali erano vietati per evitare pericolosi assembramenti.
In realtà, le “necropoli online” sono vecchie quasi quanto il web, esistono almeno da metà anni Novanta. Spesso, a creare siti destinati esclusivamente alla memoria una persona scomparsa, erano familiari. Ma mi è capitato anche di imbattermi in spazi curati da associazioni, che ospitavano talvolta decine e decine di “tombe”, su pagina htlm dove ardevano fiamme dai pixel sgranati. Un po’ l’equivalente funebre dei videogiochi dell’epoca.
Con Facebook è tutto più facile, anche troppo. C’è stato un momento in cui ho pensato abbandonare il social: è successo qualche anno fa, dopo che in pochi giorni ho appreso della morte di quattro persone che conoscevo neanche troppo bene. Un collega ha annunciato di essere entrato nello stadio terminale di un tumore e ha fatto una rapida, progressiva, cronaca delle sue giornate. Un compagno, che credevo avesse sconfitto il cancro, se ne è andato lasciando la moglie e due bambini. Altri mi hanno annunciato la scomparsa di un collega, sempre per un tumore. Un’altra persona che conoscevo è morta d’infarto.
Tutte queste morti non hanno soltanto solleticato la mia nota ipocondria, mi hanno rattristato nel profondo. Ho pensato ai figli, al dolore delle perdite. Si sono riaccesi momenti di sofferenza niente affatto virtuali.