L’altro giorno l’amico Francesco mi chiedeva qual è, se c’è, il filo che unisce le varie playlist che faccio da un po’. A parte il fatto che sono di solito brani nuovi e che ascolto musica di diversi generi, forse è proprio il melange, il denominatore comune. Anche se in questi ultimi mesi ho tirato fuori una compilation di electro, e un’altra di jazz. E ne ho un paio nel cassetto, che ascolto per me, e forse poi farò girare: una degli Zero7, uno dei miei gruppi preferiti intorno agli anni Duemila, e l’altra degli Steely Dan, una delle mie band preferite di sempre. O magari la prossima volta farò la playlist di tutte le canzoni che mi fanno piangere, mi commuovono (ce ne sono almeno dieci).
Questa playlist di fine 2020 (quasi tutti i brani sono usciti negli ultimi mesi) ha ritmi più lenti, molte voci femminili, e mescola stili diversi. Ma stavolta forse Francesco lo troverà più uniforme.
Ma perché faccio playlist? Tra le cose tante probabilmente inutili che faccio, per me condividere con gli altri musica è un divertimento e una forma di affetto, come quando cucino. E talvolta è il miglior mezzo per esprimere vicinanza di cui dispongo in quel momento. Quindi, se anche un solo brano di questi vi piace, vi dice qualcosa, vi fa fare una scoperta, com’è per me, sono contento. La bellezza sta in tante cose, grandi e piccole, e spesso in una serie di suoni.
[Qui il kink ad Apple Music. Questo invece è per trovare la playlist su Spotify. Alla fine del post c’è il player audio]
Khruangbin – So We Won’t Forget / Penso che questo sia il pezzo più bello di tutta la playlist, insieme a Kyoto. Ho scoperto questa band statunitense – nonostante il nome thai – come al solito, cioè saltellando tra le varie novità, e in particolare nella serie di album che si intitola Late Night Tales, dove artisti più famosi selezionano brani di altri artisti che li hanno ispirati , che li hanno influenzati, che gli piacciono. I Khruangbin (parola che significa aeroplano) suonavano gospel in origine, si sono incontrati da diversi anni ma hanno inciso il primo disco nel 2015, mischiano diversi generi, dal soul all’elettronica.
The Avalanches – The Divine Cord / Questo è il terzo album della band australiana, che esiste da oltre 20 anni. Li ho scoperti per la prima volta nel 2016, in particolare con una canzone completamente stoned che si intitola “Frankie Sinatra”. In “The Divine Chord” suonano Johnny Marr (cioè il chitarrista degli Smiths) e gli MGMT (un gruppo psichedelico newyorkese, che vi ho già proposto). Questa è una canzone d’amore, parla delle difficoltà di vivere insieme dopo che hai idealizzato e ti confronti con la realtà, ma c’è un po’ di speranza in fondo al tunnel.
Anna McClellan – Desperate / Una ragazzetta americana che viene dal Nebraska ha già registrato tre album, una canzone con un sound piuttosto semplice eppure che prende, un tono scanzonato. Ecco, tutto qui.
Phoebe Bridgers – Kyoto / come dicevo, questa è una delle canzoni che mi piacciono di più tra le ultime scoperte. Versione Acustica, con una struttura classica, sia pure con certe dissonanze. Lei è un’altra giovane cantautrice Usa, brava, molto.
Nilufer Yanya – Crash / Altra cantautrice, giovane, ma britannica. Questo brano viene da un EP registrato quest’anno, dopo il successo dell’album di debutto del 2019. Se mi fai un’altra domanda, mi schianto, comincia la canzone.
Beabadoobee – Care / Ancora! Cantautrice, giovane, ma filippina (naturalizzata britannica). Capace di concepire coretti fichissimi, anche se non originali. Però è uno di quei pezzi che poi fischietti.
Stefie Shock – Le décor / C’è qualcosa di Manu Chao e di Arno (un cantante fiammingo) in questo pezzo di Stefie Shock, cantautore canadese cinquantenne. Questo pezzo, Le décor, in realtà è una vecchia canzone, remixata però quest’anno per un album di successi.
Atitude 67 – Seu Leblon / Questa è una band brasiliana (anzi, del Mato Grosso del sud) abbastanza famosa, che mischia samba (anzi, pagode, che è un sottogenere) e rap, anche se qui forse la formula è più classica. Il ritmo è piuttosto allegro. La userei per fare il trenino a Capodanno… ah, no.
Urban Village – Ubaba / Gli Urban Village vengono da Soweto, Sud Africa. Ubaba significa “padre”, e la canzone parla dei padri che partivano dalla città per andare a lavorare nelle miniere.
Skinshape – Arrogance Is The Death of Men / Skinshape è lo pseudonimo di Will Dorey, di cui so solo che era un membro dei Palace e che è un produttore e compositore. Questo pezzo mi fa pensare allo stile dei Gorillaz.
Elvis Costello – They’re not Laughing At Me Now / Di Costello invece so diverse cose e ho parecchi album, ma non smetto di imparare, anche se lo ascolto da 40 anni. Mi ero perso per esempio l’album nuovo, in cui c’è anche un brano con Iggy Pop (cantato in francese). Questa è una bella ballata.
Oneohtrix Point Never – Long Road Home / Qui entriamo in un piccolo spazio elettronico: Oneohtrix è lo pseudo di Daniel Lopatin, un musicista newyorkese con una lunga serie di album alle spalle. Questo è un pezzo dai richiami classici, che a me ricorda atmosfere alla Kate Bush.
Lindstrom & Prins Thomas – Martin 5000 / Una coppia norvegese specializzata in una cosa chiamata “space disco”. Questo pezzo parte lentamente, poi assume un ritmo sostenuto. Ed è anche il brano più lungo di tutta la compilation, solo strumentale.
Badge Epoque Ensemble – Unity / Per chiudere, piccolissimo angolo jazz, anche se questo forse negli anni Novanta si sarebbe definito “acid jazz” Loro sono una band di Toronto, al secondo album.