Da ieri su alcuni media italiani (e già prima su quelli internazionali) circolano vagonate di commenti sensazionalistici, quando non indignati sui ragazzini pakistani, che giocano al piccolo kamikaze, con tanto di video YouTube.
Qualcuno ha spiegato che non è il primo video del genere che circola, anche se poi è noto, e ovvio, che le notizie hanno eco diversa a seconda del momento. E in questo momento il timore del fondamentalismo islamico armato, mentre il Medio Oriente e l’Africa araba sono in rivolta (non grazie ad al Qaeda: lo diceva ieri un alto grado militare Usa), è alto. O, forse, viene tenuto alto.
Però, a fronte di tanta preoccupazione per l’avvenire dei bambini-kamikaze, mi viene da pensare che invece continua a essere perfettamente normale, per noi altri, vedere piccoli che giocano a Rambo & C, sparando a destra e manca con armi giocattolo piuttosto sofisticate.
Intendiamoci. Io – figlio di due genitori che hanno vissuto la guerra vera da bambini – ho giocato per anni a soldatini e ho avuto un bel po’ di fucili e pistole e mitra (giocattoli), per finire poi a fare il servizio civile come obiettore di coscienza.
Ciò per dire che il percorso personale rispetto alla violenza e alla fascinazione per le armi può essere diverso. E che un gioco può restare tale (tutt’ora sono affascinato dagli sparatutto su PlayStation e pc, per esempio, ma fatico a ricordare quanti decenni fa ho fatto per l’ultima volta a botte, e solo per difendermi).
Insomma, forse è uno sforzo intellettuale eccessivo chiedere che oltre a preoccuparsi dei bambini che giocano ai kamikaze, si rifletta pure sulla quantità di violenza veicolata normalmente nei giochi (per maschi, soprattutto: le femmine restino a casa, a passare magari la finta scopa elettrica Folletto: l’ho vista in vendita qui vicino).
Oppure il piccolo Rambo servirà a difenderci dal piccolo kamikaze, domani?