Il diritto all’oblio serve al potere

La settimana scorsa la Commissione europea ha annunciato una riforma della normativa del 1995 sulla privacy online che conterrà anche il cosiddetto diritto all’oblio, cioè la possibilità di chiedere la cancellazione dei propri dati dal web.

Il diritto all’obli0 per chi ha scontato una condanna è riconosciuto dalla giurisprudenza, ma ovviamente parliamo di una decisione presa in tempi in cui Internet non esisteva. E che in ogni caso non poteva – e non può – impedire di trovare informazioni su una persona scartabellando una collezione di giornali in emeroteca.

Che un povero cristo abbia diritto a non vedersi rinfacciare per una vita errori commessi in gioventù e per i quali ha pagato il conto con la giustizia è fuori discussione, anche se poi di fatto chi vuole ottenere informazioni può sempre rivolgersi a specialisti d’indagine. E poi, c’è sempre il casellario giudiziario. E numerosi metodi, se si dispone di soldi e/o potere, per sapere qualcosa di qualcuno.

Ma aldilà della difficoltà tecnica o meno di applicare su Internet il right to be forgotten, non bisognerebbe garantire questo diritto a chiunque. O meglio, dovrebbe trattarsi di un’eccezione, e non della regola.

Intanto, il diritto di privacy non si applica nello stesso modo ai personaggi pubblici, anche se c’è una sfera “privata” dei vip (che dovrebbero essere i primi a difenderla, non a usarla per aumentare il proprio consenso), e lo stesso dovrebbe accadere per il diritto di oblio. Non puoi essere ricordato solo quando ti fa comodo.

Ma soprattutto, per citare William Gibson, “La tecnologia, attraverso la raccolta di informazioni, consente di controllare i potenti”.

Provate a immaginare, con la possibilità per chiunque di ricorrere alla cancellazione della propria presenza online, chi vi ricorrerebbe per primo. Provate a immaginare quale sarebbe il ruolo di cose come Wikipedia o lo stesso WikiLeaks in un mondo digitale del genere. Come sarebbe più difficile smascherare politici e manager imbroglioni, come invece è avvenuto sempre più spesso in questi ultimi 15 anni, grazie all’intelligenza diffusa applicata al web.

Sempre per citare Gibson: “Diventa difficile per chiunque, proprio per chiunque, come non lo è mai stato in passato, tenere un segreto (…). È qualcosa che vorrei sottoporre all’ attenzione di ogni uomo di stato, leader politico e dirigente d’ azienda: il futuro, alla fine, vi porterà allo scoperto. Non riuscirete a mantenere i vostri segreti. Il futuro, maneggiando strumenti di trasparenza inimmaginabili, l’ avrà vinta su di voi. Alla fine, quello che avrete fatto sarà sotto gli occhi di tutti (…)”.

Resta, certo, il problema di come responsabilizzare le persone, per evitare che debbano soffrire di una loro leggerezza, magari giovanile, mettendo in rete foto o commenti o documenti che potrebbero nuocere loro mentre cercano un lavoro, per esempio.
Anche se è possibile vietare per legge le discriminazioni di questo tipo, che sia poi realmente praticabile è un altro paio di maniche.

Una regola generale credo sia: non dire sul web quello che non diresti in pubblico, anche perché la sfera del pubblico è notevolmente ampiata ed è cambiata rispetto all’epoca pre-web. Pensate solo a una cosa come i social network: non credo abbiano veri equivalenti pre-1990.

Regolamentare il diritto all’oblio online, insomma, rischia di essere più pericoloso che non fare nulla.

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