Mi ha colpito, pochi giorni fa, un servizio del Gr1 Rai sulla vicenda di Green Hill, l’allevamento nel bresciano dove un gruppo di animalisti ha fatto irruzione per liberare alcuni cuccioli di Beagle destinati alla vivisezione, azione a cui sono seguiti alcuni arresti.
Il servizio radiofonico parlava di “furto di cuccioli”, definizione che sarà anche corretta per il codice penale, ma che nasconde una visione degli altri animali come cose, appunto, come un prodotto.
Lo dico a prescindere dal giudizio sull’azione illegale degli animalisti. Pur essendo vegetariano – con tutti i miei limiti – e contrario alla vivisezione – non sono un fan dell’animalismo militante in stile Aniaml Liberation Front, e ho anche scritto un romanzo, ormai sei anni fa, sulla questione.
Ma è chiaro che non posso non capire cosa spinge ad agire così e a salvare quei cuccioli da una morte oltretutto inutile (se siete di quelli che “vabbene salvare gli animali, però ci sono i bambini che muiono di fame“: d’accordo, ma una cosa non esclude l’altra, anzi. Visto che siamo tutti animali, essere animalisti è anche questo).
Il servizio radiofonico poi riportava un unico commento, quello di Silvio Garattini, un anziano ricercatore molto apprezzato in Italia ma che è da decenni un fiero assertore della vivisezione, e che ovviamente ha colto la palla al balzo per ricordare quant’essa sia importante per salvare la vita di adulti e bambini (cioè cuccioli d’uomo). Il messaggio era chiaro: sacrifichiamo qualche cucciolo per salvare la vita ai vostri figli.
Anche solo scorrendo qualche opuscolo delle associazioni, ci si può documentare sulle ragioni di chi si oppone alla vivisezione anche perché il risultato della sperimentazione su altri animali non è garantito poi sugli esseri umani e perché oggi esistono diversi sistemi di sperimentazione. E su una vicenda come quella di Green Hill sarebbe stato interessante sentire anche un parere diverso da Garattini.