Nelle scorse settimane ho parlato con oltre 20 persone – esperti di settore, politici, dirigenti ed ex, giornalisti, sindacalisti, la maggior parte on the record, una parte off – e ho raccolto dati per un pezzo sulla Rai che uscirà, credo, tra un paio di settimane, prima che l’assemblea degli azionisti nomini il rappresentante del Tesoro e il candidato presidente.
Intanto, però, fisso qui un po’ di punti-conclusioni.
1. La tv interessa tanto i partiti perché storicamente in Italia, di fronte a una stampa controllata da editori “impuri” (poteri finanziari e industriali) i partiti – o meglio ancora il governo, che fino alla riforma del 1975 dominava completamente l’azienda – hanno scelto di usare lo strumento radio-tv. Quindi la presenzan ingombrante di Silvio Berlusconi (che peraltro oggi sembra quanto di più vicino ci sia a un editore “puro”…) è solo un pezzo del problema.
[Per altro, particolare curioso, la Rai nasce nel dopoguerra come società a capitale rivato che viene poi rilevata dal ministero delle Comunicazioni].
2. Dopo la riforma del 1975 – che ha portato anche alla nascita di Rai 3 sotto l’influenza della sinistra -, il pluralismo, il rapporto tra i partiti si è trasformato rapidamente in “lottizzazione”. Negli anni 80 la riforma del sistema radio tv – seguita alla nascita delle tv private – la cosiddetta Legge Mammì, ha sancito l’ascesa di Fininvest (poi Mediaset). Negli anni 90 la trasformazione di Silvio Berlusconi da tycoon in leader politico ha drammatizzato la situazione e lo scontro tra i partiti.
3. I sondaggi confermano che la tv resta saldamente la prima fonte in assoluto di informazione per gli italiani, e dunque si capisce anche l’interesse alla visibilità, oltre a un fatto di “ego”, con la personalizzazione politica di questi ultimi decenni ( “Andare in televisione è una droga pazzesca, anche per i politici, ed è un elemento psicologico che non va trascurato” dice un esperto di marketing)
-Oltre a questo, c’è anche la scarsa trasparenza della Rai sui collaboratori (che secondo varie fonti sono 40mila circa), che rappresenterebbero un sottobosco per la politica, e la gestione della pubblicità, dice un ex consigliere di cda Rai (nominato col centrodestra all’epoca di Letizia Moratti).
4. In generale, si chiede che la Rai ora riscopra la sua missione pubblica e adotti una strategia per stare al passo con la tv mobile e via internet. Si sottolinea però la difficoltà del premier Monti a intervenire, visto che comunque il governo si fonda su una maggioranza composita in cui il Pdl è completamente contrario a cambiare la legge attuale, la Gasparri.
Mediaset in questo momento è peraltro in difficoltà: un un calo del 36% degli utili nel 2011, 225 milioni; ricavi netti consolidati a 4,2 miliardi circa, e raccolta pubblicitaria in forte calo (10%) anche nel primo trimestre del 2012. E’ anche fallito il progetto di combattere sul settore pay tv contro Sky ricorrendo al digitale terrestre.
– (La questione si incrocia anche con quella del Beauty Contest sulle frequenze, annullato dal governo attuale)
5. Si esprimono perplessità sull’ipotesi che per la Rai basti un “governo tecnico” che tagli e razionalizzi, perché la televisione pubblica non è una “merce”.
6. La richiesta che viene dal sindacato, dal centrosinistra, dal mondo cattolico, perfino dai pubblicitari, è quella di mantenere la Rai pubblica – al limite facendo una cura dimagrante e sistemando comunque i conti, perché la moltiplicazione dei canali col digitale e altre scelte sostenute non hanno “giustificazioni economiche” – affidandola possibilmente a una “fondazione” che riduca il peso dei partiti. Ma anche del governo, che è proprietario di fatto della Rai attraverso il Tesoro.
7. Qualche forma di privatizzazione sarebbe possibile, in teoria. E se Lucia Annunziata (ma non solo) paventa uno scenario tipo Alitalia, con la good company e la bad company, con la vendita di Rai 1, altri profilano il default di Rai. Per un analista sarebbe sensato vendere Rai 3 o Rai 1. Alltra ipotesi è la vendita di RaiWay (la società che vale un po’ meno di 1 miliardo di euro e che è fisicamente proprietaria dell’infrastruttura).
8. Ma sulla privatizzazione – che pure avrebbe possibili acquirenti – pesa sempre il peso politico di Mediaset, che sembra intimorire possibili acquirenti italiani e stranieri.
E sulla privatizzazione – che pure sarebbe possibile con la legge Gasparri e che è stata sancita nel 1995 da un referendum popolare – hanno avuto problemi anche i leader di centrosinistra, come lo stesso Romano Prodi, che era favorevole ma che trovò opposizione interna a metà anni 90.
9. In tutto questo, però, il pubblico italiano non sembra così disperato della situazione, non sembra appassionato al dramma della governance. Dà un giudizio più che sufficiente della Rai e, dice il sondaggista Nicola Piepoli, se ne frega di chi governa la Rai, gli interessa che i programmi siano buoni.
– E nell’azienda, come testimonia un autore Rai che ho citato, dopo il primo momento di “panico” per un possibile intervento di Monti, ora è tornata la calma.
10. Un possibile traguardo temporale comunque è quello del 2016, quando bisognerà rinnovare il contratto di servizio pubblico con la Rai. E commentatori e sindacato invocano l’esempio della Bbc riformata nel 2004. (Però bisognerebbe capire cosa potrebbe spingere i partiti a fare a meno del controllo della Rai…)