Lingua di genere, o degenerata?

    Uno dei miei topos nelle polemiche uno-contro-tutti è la questione della lingua (italiana) e del genere. Continuo – anche a rischio di vedermi correggere dai miei capi servizi, che qui accuso ufficialmente di conformismo linguistico… – a scrivere ministra anziché ministro quando trattasi di donna che dirige un dicastero, e assessora al luogo di assessore, sindaca invece di sindaco (sindachessa? orribile).
    Allo stesso modo, credo che quando ci sono tre persone, e due di queste sono donne, si usi il femminile anziché il maschile (esempio: le tre si sono dirette verso casa), oppure sia meglio, ma non sempre è possibile, usare delle perifrasi (anche se, quando scrivo per lavoro, evito di complicarmi la vita e soprattutto i rapporti umano-professionali con queste finezze).
    Stesso discorso per l’uso che trovo fastidioso dell’articolo “la” associato a donna. Errore (errore politico) che ho fatto anch’io recentissimamente scrivendo: la Soncini. Ma se avesse un fratello, non scriverei il Soncini ( linguaggio da mattinale dei Carabinieri). dunque, Soncini e basta
    L’opposizione alla declinazione sessuale del linguaggio è trasversale, politicamente parlando. Un mio amico e collega lulista (nel senso di Lula) contesta quel che giudica “una deriva femminista” e difende l’uso classico dei termini (ministro, appunto). Qualcuno, poggiando sull’interpretazione dell’Accademia di Francia della questione, dice che un conto è la funzione, un conto è il sesso, dunque la corretta dizione sarebbe “la signora ministro”.
    A questa destra linguistica, ai conservatori delle formule tradizionali (ma la tradizione è pur sempre un’invenzione, come testimoniano gli storici), ricordo che la lingua, come il tempo (come i popoli, le nazioni e un sacco d’altre cose) scorre, cambia, si modifica, in relazione alla realtà. La realtà è che in passato ministre non ce n’erano, oggi sì. Come diciamo maestro e maestra, dobbiamo dire anche ministro e ministra.
    Presidentessa no, magari, perché presidente è un termine sufficientemente neutro da essere accompagnato da diverso articolo, il, la, secondo il sesso di chi esercita la funzione.
    Ma neanche avvocatessa, visto che esiste (sia pur segnalato dal Garzanti come raro) il termine avvocata.

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