Se quella mattina non si fosse verificato un apparentemente piccolo avvenimento, certo insignificante per la
macroeconomia o anche solo per il Pil del Paese, questa storia non sarebbe stata scritta e voi non stareste qui a leggerla.
Anticipamo subito, per intenderci, che un bullone, un semplice bullone, per questa storia ha un’importanza
paragonabile a quella di una reliquia religiosa. Immaginatelo dunque lì, protetto come merita da una teca.
Trascurate il fatto che poi quel bullone, un semplice bullone di metallo, non avesse in quel momento – e non l’avrà
neanche in futuro, si suppone – coscienza del suo ruolo, ma fosse solo un mezzo, un agente del destino o, più probabilmente, del caso.
Insomma, questo bullone, con la sua rondella, se ne sta lì abbandonato su una strada in pavé, dissestata come
solo le strade fatte di sanpietrini e assai trafficate possono essere. Quand’ecco arrivare un furgone, un furgone
sgangherato, strombazzante, che perde fumo nerastro, con una serie di adesivi in parte strappati e comunque
appiccicati alla rinfusa sul cofano posteriore, sui campeggia una scritta in caratteri gotici, “Bestial CB”.
L’autista del furgone non è neanche lontanamente cosciente della presenza del bullone lungo la traiettoria
probabile dei pneumatici e anche se lo fosse non devierebbe la rotta. Ha fretta. Gli autisti di furgone hanno
sempre fretta, d’altronde, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Se portano un carico devono correre a scaricarlo, se viaggiano vuoti hanno fretta perché devono tornare a casa.
Il motivo per cui l’autista del nostro furgone ha fretta, in questo caso, ci è ignoto e francamente neanche ci
interessa tanto. Ci incuriosirebbe di più, al limite, sapere perché ha scelto il nome in codice “Bestial CB” come radioamatore, ma qui la storia prenderebbe un’altra piega.
Quindi, torniamo al bullone.
La ruota anteriore destra del furgone sta per raggiungerlo e si limiterebbe semplicemente a passargli sopra,
imprimendogli una pressione comunque non sufficiente a deformarlo in modo significativo, visibile. Invece, uno
scarto quasi impercettibile fa sì che la ruota entri in collisione solo con un’estremità del bullone, scagliandolo nel vuoto.
A questo punto, se potessimo assistere alla scena al rallentatore, potremmo anche interrogarci sulla traiettoria
dell’oggetto. Nota l’angolazione dell’impatto e la velocità della spinta dovremmo essere in grado di stabilire la direzione, infatti. Ma sarebbe un interesse tutto teorico.
Per farla breve, il bullone viene letteralmente sparato in direzione del marciapiede e colpisce dritto a una tempia
un uomo. Che però non è affatto lì per caso. Perché sta seguendo un altro uomo, con intenzioni quantomeno ostili.
Addosso ha una pistola e un coltello, pronto a usare uno dei due o entrambi all’occorrenza, per eliminare l’altro.
Ma quello che per lo sconosciuto aspirante killer è un futuro certo e pianificato, da verbo indicativo, improvvisamente diventa una questione di condizionali, una tra le tante ipotesi.
L’uomo infatti avrebbe fatto certamente aggredito la sua vittima lungo i prossimi 200 metri, se un evento
statisticamente molto raro – il volo del bullone, appunto – non glielo avesse impedito.
L’uomo stramazza al suolo. Non sappiamo se vivo o morto. Forse vivo, ma certo non in buone condizioni. Quando
l’infermiere che lo soccorrerà si sarà accorto che è armato, chiamerà la polizia. La quale non sindacherà certo su
un omicidio che quello stava per commettere ma alla fine non ha commesso, trovando invece da ridire su altri reati per i quali l’uomo, tuttora incosciente ma non incolpevole, è stato condannato. (1 – Continua)