di Massimiliano Di Giorgio
ROMA, 15 ottobre (Reuters) – La decisione di Walter Veltroni di non ricandidarsi alle elezioni in primavera, sta provocando nel partito di centrosinistra una discussione non solo sul ricambio ai vertici ma anche sulla prosecuzione nella prossima legislatura della politica di rigore del governo guidato da Mario Monti.
Secondo alcuni dirigenti e parlamentari democratici sentiti da Reuters, l’annuncio di ieri sera alla trasmissione tv “Che tempo che fa” dell’ex vice premier dell’Ulivo, poi primo leader del Pd, è destinato ad avere conseguenze nelle prossime settimane, con possibili dichiarazioni di rinuncia di altri storici esponenti del partito.
In pochi scommettono, però, che la vicenda avrà un peso sulle primarie di coalizione del centrosinistra o che a trarre vantaggio da un eventuale ricambio sarebbe necessariamente il giovane sindaco di Firenze Matteo Renzi che da mesi chiede di “rottamare” il gruppo dirigente del Pd.
“VELTRONI SPARIGLIA IL GIOCO”
“Era una voce che girava da giorni, quella che Veltroni avrebbe fatto un passo del genere. A me lo avevano detto 10 giorni fa, ma non ci credevo”, ammette una fonte vicina al vice segretario Pd Enrico Letta, che alle primarie per il candidato premier del centrosinistra sostiene il leader Pier Luigi Bersani.
“Così veramente Veltroni spariglia il gioco”.
In tv, Veltroni ha annunciato che non lascerà comunque la politica, pur rinunciando a un seggio parlamentare. Ma non si è schierato con nessun candidato alle primarie, così come ha fatto anche l’ex premier Romano Prodi. E ha criticato il “rottamatore” Renzi per aver impostato la sfida nel centrosinistra su questioni più anagrafiche che politiche.
Secondo diversi esponenti, l’annuncio dell’ex sindaco di Roma “metterà in difficoltà” esponenti del Pd presenti in Parlamento da oltre 15 anni, a partire dal presidente del Copasir, Massimo D’Alema, considerato lo storico antagonista di Veltroni.
“Mi pare inevitabile che la decisione di Veltroni aprirà una riflessione nel partito. Non c’è dubbio che il suo sia un gesto importante, che va incontro a un clima che c’è nel Paese, e a una richiesta di rinnovamento. E’ arrivato il momento di fare una riflessione di partito”, dice Matteo Orfini, giovane responsabile Cultura del Pd, bersaniano, per anni vicino a D’Alema.
“Adesso chi non seguirà Veltroni sarà in difficoltà non una volta, ma due”, attacca Roberto Reggi, coordinatore della campagna di Renzi per le primarie. “Il tema del rinnovamento non riguarda però il singolo, ma una classe dirigente. E ora riguarda altri soggetti che sono lì e che vogliono restarci”.
Il bersaglio di Reggi è D’Alema, che invece, per 700 esponenti e amministratori di partito che hanno comprato oggi una pagina sull’Unità, deve restare “un punto di riferimento” nella “sfida per il governo”.
“Veltroni ha fissato uno standard politico-morale”, dice un senatore Pd vicino a Veltroni che non ha ancora preso posizione alle primarie. “In un certo senso questa cosa è un successo di Renzi, ma per altri aspetti potrebbe diventare un successo per Bersani”.
“Questa mossa potrebbe essere un vantaggio per Bersani”, dice anche la fonte vicina a Letta. “Perché per lui persone come D’Alema, (Rosy) Bindi, (Beppe) Fioroni sono più un peso che altro. Se fosse così, Renzi non potrebbe più parlare di rinnovamento nello stesso modo”.
Reggi, per parte sua, ammette che per i renziani “D’Alema è il maggior sponsor” e che adesso Bersani, accusato di essere “ostaggio di D’Alema”, “ha la possibilità di affrancarsi”.
RISCHI PER “AGENDA MONTI”
Secondo due altre fonti vicine a Veltroni, la preoccupazione principale dell’ex segretario è quella di non dividere il partito in uno scontro tra Ds e Margherita, cioè i due partiti che nel 2007 hanno dato vita al Pd. E anche quella di proseguire sulla cosiddetta “agenda Monti”, cioè la politica di austerità condotta dal governo tecnico per risanare i conti pubblici.
Sabato scorso, cioè il giorno prima dell’annuncio di Veltroni, i leader di Pd, Sel e Psi hanno firmato una carta d’intenti del centrosinistra che, contrariamente alle attese, non fa cenno dell’esperienza del governo Monti, facendo temere ad alcuni osservatori che un nuovo governo di centrosinistra potrebbe neutralizzare le riforme varate dall’ex commissario Ue.
Nichi Vendola, il leader di Sel candidato alle primarie, è contrario al governo Monti e ritiene che il prossimi esecutivo di centrosinistra debba anche modificare il vincolo del pareggio di bilancio.
“Veltroni non s’è schierato anche perché nessuno dei candidati appoggia in modo pieno l’agenda Monti. E’ vero che molti veltroniani hanno scelto Renzi, ma come male minore”, dice un senatore Pd che preferisce restare anonimo.
“Veltroni teme l’abbandono della politica di Monti che il partito si spacchi tra Ds e Margherita, e dunque ha voluto mandare un segnale”, aggiunge un’altra fonte della direzione Pd.
La fonte vicina a Letta avanza però un’ipotesi più drammatica: “Forse Veltroni pensa che il prossimo governo di centrosinistra finirà come l’ultimo Prodi, e dunque si è chiamato fuori. Due anni e tutti a casa per i soliti contrasti interni. In quel caso, sarebbero tutti bruciati”.