La scorsa settimana mi sono iscritto ai Radicali Roma, cioè l’organizzazione, sotto forma di associazione, che coordina le attività locali radicali nella Capitale.
Non sono radicale, resto un attivista e iscritto verde. Ma nel corso degli anni ho votato talvolta per liste radicali, sono stato iscritto all’associazione radicale antiproibizionista e ho simpatizzato spesso coi radicali, fin dai tempi del liceo, perché molte loro battaglie sono state e sono ancora le mie, e credo debbano essere di tanti.
Ho anche antipatizzato, in certi caso fieramente: non sopportavo le ridicole sceneggiate digiuniste di Marco Pannella con bevute di piscio annesse, non ho amato gli ondeggiamenti destra-centro-sinistra né il liberismo ideologico, lo sfinimento dello strumento referendario, l’innamoramento per il sistema elettorale uninominale e altro ancora. Ma ho condiviso la lotta al nucleare, quella contro i proibizionismi e soprattutto l’impegno per i diritti di tutti, carcerati compresi.
Prima dell’89 ero tra quelli che sostenevano la nascita di un polo alternativo con dentro Verdi, Dp (da cui venivo io) e radicali. Non è successo. O meglio, quel contenitore è diventato in parte il Sole Che Ride(va), ma si è persa un’occasione.
Se c’è qualcuno che a Roma si batte per i diritti di tutti, appunto, migranti e rom compresi, sono i radicali. Lo fanno con passione, con costanza, anche se sono in pochi. Per questo ho deciso di iscrivermi e sostenerli. E anche perché credo che i compagni romani vadano sostenuti nello scontro che si è aperto dopo la morte di Pannella, tra due anime del partito che non sono ovviamente i “buoni” e i “cattivi”, ma per dare credito a gente che ha una concezione della politica più dialogante degli altri.