Come in Olanda?

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Come ha scritto un’amica su Facebook, oggi siamo tutti verdi olandesi, ieri eravamo tutti verdi austriaci, vorrei che fossimo tutti verdi italiani. Indubbiamente, il successo degli ecologisti dei Paesi Bassi è una notizia, come lo è stato l’elezione a presidente della Repubblica in Austria di Alexander Van der Bellen. Ma i Verdi stanno andando bene in diversi altri paesi euroepi (e anche negli Usa, dove qualcuno li accusa di aver fatto il gioco di Trump, ma vabbe’).

Questo successo può provocare un aumento dei consensi ai Verdi anche in Italia? Vi anticipo la risposta: forse. Ma con molti dubbi.

Ogni Paese è storia a sé.  Van der Bellen (che non è più il leader dei Verdi) è stato votato contro l’estremo destro Norber Hofer. Mentre i Verdi olandesi hanno probabilmente intercettato la rabbia di parte dell’elettorato laburista (come del resto alcuni partiti di sinistra) che non ha gradito la coalizione coi liberali (conservatori) di Mark Rutte.
Ma certo, le tendenze e le influenze esistono, e quindi è possibile che in situazioni diverse il successo possa essere contagioso.

Da noi il Sole che Ride esiste da 30 anni, anche se dal 2008 è assente dal Parlamento (c’è una senatrice che consente ai Verdi di prendere il 2 per mille come partito, ma è stata eletta con il M5s).
Il partito ha espresso alcuni ministri (pochi), ha raggiunto al massimo il 3,78% alle Europee del 1989, il 3,04 al Senato nel 1992, il 2,79% alla Camera nello stesso anno.

Dopo il 2009 il partito ha perso diversi pezzi, andati in sostanza con Sel, con il Pd e con il M5s.
Esiste anche un gruppo-associazione-lobby, i Green Italia, di cui fa parte la co-presidente dei Verdi Europei, Monica Frassoni (che insieme a due ex senatori Pd, ex esponenti di Legambiente, lo guida di fatto), e che in Parlamento ha il riferimento principale nell’ex Pd Pippo Civati, fondatore di Possibile.
A livello nazionale oggi i Verdi valgono l’1% o anche meno, secondo i sondaggi. Tutti i suoi portavoce, praticamente, sono usciti dai Verdi una volta terminato il mandato (in alcuni casi per passare ad altro partito).
Dopo aver rotto con la cosiddetta sinistra radicale, anche a causa dell’insuccesso elettorale, nel 2013 i Verdi hanno fatto cartello con la formazione dell’ex giudice Antonio Ingroia (Rivoluzione Civile).
Attualmente fanno sostanzialmente il tifo per un ritorno all’Ulivo e sembrano interessati alle evoluzioni del Campo Progressista di Giuliano Pisapia, ma insieme mantengono i contatti con il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, che sembra avere aspirazioni a livello nazionale.

In Italia, paese che ha avuto il più grande partito comunista dell’Europa occidentale, esiste oggi il più grande partito populista o anti-sistema, cioè il M5s (che originariamente raccoglieva istanze soprattutto ambientaliste: le cinque stelle simbolizzano acqua, ambiente, trasporti, sviluppo ed energia).

Detto tutto questo, lo spazio di manovra dei Verdi, in questo contesto, è certamente pochino (anche se in Francia, per esempio, i Verdi hanno lungamente vivacchiato prima di fare il botto elettorale). Ma c’è. Con un certo numero di condizioni.

1. I Verdi non possono essere solo il partito dell’ambiente. Perché l’ambiente è da anni una materia traversale (anche se poi è più parlare di green che altro…), perché i Verdi non sono un’associazione ambientalista. E poi, si può essere sostenitori del Wwf e avercela coi rom, mentre non si può essere ecologisti e razzisti.
I Verdi devono parlare di qualità della vita, diritti, lavoro (che non sono i soliti lavori green) e anche di non lavoro (reddito di cittadinanza, per esempio).

2. I Verdi non possono essere la ruota di scorta ambientalista della “sinistra” (generalizzo: non esiste una sinistra, esistono diverse sinistre, anche in conflitto tra loro), una roba tipo sinistra + ambiente.
Perché quello ecologista (che forse è una delle novità più interessanti, politicamente, del dopoguerra e comunque del post ’68) è un pensiero autonomo, non legato cioè alla tradizione marxista o a quella liberista-liberale, che sono entrambi pensieri “produttivisti” (con buona pace delle diffuse ironie sulla decrescita felice). I Verdi possono anche essere alleati di formazioni di sinistra, se lo ritengono necessario, ma non devono comportarsi da “fratelli minori”.

3. I Verdi devono porsi l’obiettivo di organizzare la speranza. C’è già chi prova a far fruttare la rabbia. Non basta dire che “il Pianeta va a rotoli”, ma occorre indicare delle soluzioni che mettano insieme grandi idee e pratiche quotidiane. Dettare l’agenda significa questo.

4. I Verdi hanno bisogno di tornare ad avere una leadership politica riconoscibile, mentre oggi c’è un portavoce, Giobbe Covatta, che in realtà non è un rappresentante, ma un testimonial.
Quindi occorrono coraggio, fiducia e altre persone che ci mettano le idee e la faccia. Non è questione di fare primarie sul web, né di fare ennesime costituenti, ma di aprire il dialogo e costruire una leadership collettiva.

5. Sul web (e sui social) i Verdi non devono fare primarie, appunto, ma investire energie e un po’ di soldi. Perché è lì che si sono trasferite notizie e discussioni, ma è anche lì che passano tante persone. Ma la rete non sostituisce il territorio: e quindi incontrare le persone resta sempre importante.

 

 

5 pensieri riguardo “Come in Olanda?

  1. Vincenzo Riccobono 17 marzo 2017 — 16:42

    auguri!

  2. Uno dei più bei articoli che ho letto ultimamente, complimenti! Sottoscrivo tutto, mi sono quasi commosso nel leggere le “5 condizioni”; mi ci ritrovo al punto da immaginare che avrei scritto le stesse identiche cose…ad esempio: <>
    Bravo, bravo, bravo !!
    (Marco)

  3. Aldo Pompermaier 20 marzo 2017 — 12:27

    Mi ci trovo completamente . Ecco perché dopo vent’anni di militanza attiva mi rifiuto di scendere a Roma ( da Trento) per sentire sempre le stesse cose e specialmente quella di finalizzare i seminari a ipotesi di alleanze . Rilanciamo
    I territori non cerchiamo scorciatoie

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