Bello ma senz’anima

blade-runner-2049

Ho visto Blade Runner 2049 in originale. giovedì scorso, cioè nel primo giorno di programmazione, ma avevo promesso ad un’amica che non ne avrei scritto prima che lo avesse visto anche lei, nel weekend.

Le avevo solo detto che valeva la pena, andare a vederlo.

Metto da parte le considerazioni da fan di Blade Runner e più in generale di Philip K. Dick (l’autore di Do Android Dream Electric Sheeps?, da cui è tratto il film del 1982), che considero il mio autore preferito di SF insieme a William Gibson.

Intanto, al contrario di quanto pensavo, il nuovo film non è tratto dai sequel del romanzo, scritti anni fa da K. W. Jeter, un autore cyberpunk meno noto di Gibson e Sterling. Il primo è uscito nel 1995, e mi lasciò abbastanza freddo.
La sceneggiatura è invece di Hampton Fancher, che aveva scritto il primo film, e di Michael Green (che ha tra i meriti quello di essere produttore esecutivo di una bella serie, American Gods, tratta dal libro di Neil Gaiman).

Vale la pena andare a vedere questo film? Sì, se avete amato Blade Runner. Sì, perché è opera di un bravo regista, Denis Villeneuve, autore tra l’altro di La donna che canta e, per i patiti di SF, di The Arrival (film con un po’ di limiti, secondo me, ma interessante).

Dicevo: se avete amato Blade Runner. Perché se non lo avete visto o  non vi è piaciuto, allora è meglio evitare. Ma potreste anche aver amato Blade Runner e non capire però perché serviva per forza un sequel. Infatti, non serviva (ma c’è una tendenza alla serializzazione che non è secondo me solo una necessità di fare soldi con la fidelizzazione degli spettatori: è basata anche sulla replica dei meccanismi narrativi tv).

Il film è bello, visivamente, e lento, o talvolta rarefatto, nella narrazione (per qualcuno troppo, anche perché dura quasi tre ore). Ma, come dice a un certo punto il protagonista (Ryan Gosling) in un dialogo sugli esseri sintetici, gli manca l’anima. Manca di sostanza.

Perché la questione di fondo, cos’è che distingue davvero un essere umano, era già nel romanzo e anche nel primo film (nel director’s cut, soprattutto: perché per Dick resta il mistero se Deckard sia un androide o meno). E in questo sequel non c’è alcuna scoperta, se non appunto quei colpi di scena più classici delle serie tv.

Come dice Charlotte, c’è poi il fatto che Gosling non è, decisamente non è, Harrison Ford (ma qualcuno dice che va bene per interpretare l’androide remissivo).

Le immagini sono comunque belle, molto belle, e i temi in discussione (dalle intelligenze artificiali alla definizione di umano passando per il cambiamento climatico) restano comunque interessanti e certamente più attuali di quando ne scrisse Dick o anche del primo film. Ma anche questo , alla fine, può essere visto come un limite. Perché la capacità di anticipazione di Dick (che appartiene molto alla fantascienza, e non parlo solo di tecnologia, anzi) è solo celebrata, non sfruttata a pieno.

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