
Nel 1979 avevo appena cominciato il liceo e avevo già scoperto la disco music. C’ero arrivato dopo la musica classica, grazie a “I Feel Love”, cioè il primo pezzo disco interamente elettronico. Pochissimo tempo dopo sarei arrivato al punk – o meglio, a quello che ne restava – e alla new wave, all’hip hop e al reggae passando per lo ska, senza soluzione di continuità e senza però abbandonare mai la passione per la dance.
Non mi ero mai posto il problema se tra musica da ballo e politica ci fosse qualche rapporto fino a quando il mio amico Gigi, che col fratello più grande frequentava Lotta Continua per il comunismo (da non confondere con Lotta Continua di Sofri & c.), non mi raccontò che per i militanti andare in discoteca era vietato, o comunque escluso, perché era “roba da fasci”.
Un giudizio un po’ estremo, per così dire. Ma in realtà per molti miei amici, soprattutto più vecchi di me, allora la “musica ballabile” era commerciale e comunque disimpegnata. Il rock, roba seria, di sinistra. Io, però, non sono mai stato troppo d’accordo nel tracciare questa divisione.
[Molti, molti anni dopo, la lettura di “Punk capitalismo” di Matt Mason mi ha tolto qualche soddisfazione, soprattutto quando descrive la disco degli inizi come un fenomeno progressista urbano, nato anche per reazione al rock istituzionale, sì, ma legato all’idea di liberazione, anche sessuale. Se pensate alle immagini dei Village People, capite cosa intendo].
Poi vennero gli anni 80, quelli che sento ancora spesso bollare come un periodo così brutto, culturalmente. Balle. Non provo alcuna nostalgia per il decennio (sono fedele al titolo di una canzone, Dont’ Look Back, Non guardarti indietro, nella versione reggae cantata da Peter Tosh e Mick Jagger), ma anche allora sono nate un sacco di belle cose. Gli anni 80 in fondo hanno raccolto quello che i 70 hanno seminato.
E, grazie soprattutto alla coda della new wave britannica, è arrivata la musica dance elettronica di sinistra.
Penso agli Heaven 17, agli Human League, ai Depeche Mode, agli A Certain Ratio, anche, agli Scritti Politti (il cui nome viene dalla contrazione di “Scritti politici” di Antonio Gramsci). O a band più soul come gli Animal Nightlife, un gruppo dichiaratamente impegnato nel solco del revival swing di quegli anni, insieme ai Working Week.
Ma arrivò contemporaneamente anche lo ska britannico, con gruppi come Selecter, Specials, Madness, che suonavano una musica black, in sostanza, derivata dal soul americano passato per la Giamaica. Musica che piaceva sia ai cosiddetti “mod” che agli skinhead (che non erano fascisti di per sé, quanto piuttosto apolitici. Gli skin fascisti sono definiti di solito bonehead – naziskin è un termine coniato in Italia – quelli di sinistra Sharp: Skins againts racial prejudice, Skin contro i pregiudizi razziali).
“(We Don’t Need This) Fascist Groove Thang” è il titolo di una canzone degli Heaven 17 (qui il video nella versione 2010). Ballabilissima ma censurata alla radio, se la piglia con il governo Thatcher e con quello Reagan.
“Everybody move to prove the groove / Have you heard it on the news / About this fascist groove thang. / Evil men with racist views / Spreading all across the land. / Don’t just sit there on your ass / Unlock that funky chain dance. / Brothers, sisters shoot your best / We don’t need this fascist groove thang”.
Insomma, il ballo come azione antifascista. E anche se questa canzone non è stata il successo principale del gruppo – ma compare comunque in un buon numero di antologie new wave – sembra davvero un manifesto ideologico del movimento dance di sinistra.
[Ma ricordo anche un’intervista al leader degli Scritti Politti, Green Gartside – l’autore di un best seller dance, “Wood Beez (Pray Like Aretha Franklin)” – che prendeva in giro gli Smiths di Morrissey definendoli “piccolo borghesi” per i loro testi]
La new wave elettronica era il contraltare, anche politico, dei new romantics, come gli Spandau Ballets, ma anche dei Duran Duran, considerati, non solo in Italia, portavoce del cosiddetto edonismo reaganiano.
(Negli stessi anni, in Italia, veniva rivalutato il ballo popolare grazie a Renato Nicolini, l’inventore dell’Estate Romana e del cinema in piazza a Massenzio, con la manifestazione “Ballo e non solo” a Villa Ada).
Quella della dance di sinistra è la scoperta dell’acqua calda, se volete. La musica di per sé è neutrale, però si può usare come potente arma di propaganda, non solo attraverso i testi (è il caso per esempio del rap, usato per esempio sia dagli jihadisti islamici che da quelli che li vogliono combattere…) ma anche con lo stesso ritmo per tenere insieme, facendole divertire, le persone.
Insomma, “ballabile” non è più di per sé uguale a commerciale (connotazione negativa per la maggior parte delle persone che conosco, ancora oggi), ma piuttosto a “popolare”.
Ma fu la new wave elettronica, di fatto, a rivalutare massicciamente il ballo in funzione di sinistra. Poi, mentre si ridava “dignità politica” alla disco, arrivava anche la musica house – di cui “I Feel Love” è considerato un brano precursore – e il sottogenere dell’acid house, più diffusa in Europa e diventata poi colonna sonora dei rave, feste clandestine nate nel Regno Unito e diventate in un certo senso un simbolo di resistenza giovanile al thatcherismo.
Quel tipo di musica ancora oggi accompagna non solo manifestazioni come i Gay Pride, ma anche quelle per la legalizzazione della marijuana o, negli anni passate, le cosiddette love parade.
(Questo post era comparso originariamente nel 2014 su xpolitix.com, una rivista che non esiste più)