Confesso, in famiglia la donna sono io

Mi sono reso conto recentemente di essere una donna. No, non è questione di inclinazioni sessuali o di genere, mi riferisco a una questione di ruolo sociale o forse familiare.

Esiste una fascia di uomini – che non so quanto vasta, ma a cui appartengo – che ritiene normale occuparsi almeno al 50%, e se serve anche più, di quello che si definisce “lavoro riproduttivo”. Ovviamente non parlo della gravidanza, del parto e dell’allattamento al seno, ma di tutte le attenzioni e cure necessarie non soltanto per i figli, ma in generale per le persone con cui viviamo, per la nostra famiglia.

Sono cresciuto in una famiglia che si poteva definire normalissima, per l’epoca. Mio padre era autista in un’azienda pubblica di trasporto, mia madre aveva scelto di smettere di lavorare dopo il matrimonio, a metà degli anni Sessanta, e di fare insomma la casalinga. Avrebbe poi rimpianto in parte quella decisione, sia per uscire più spesso di casa e frequentare anche altri ambiti e persone diverse, sia per una ragione economica, visto che lo stipendio di mio padre è stato poi eroso negli anni dall’inflazione. 

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