
Qualche mese prima che Matteo Renzi diventasse una star della politica italiana, nel 2012, dopo che aveva già sbaragliato gli altri contendenti Pd nella corsa a sindaco di Firenze ma era ancora un personaggio “minore”, la figura che alcuni sondaggi tra i giovani e il popolo “di sinistra” indicavano come il prossimo leader era Nichi Vendola.
Durò poco, certo. Ma ricordo ancora i titoli dei quotidiani stranieri sulle “fabbriche di Nichi”, l’entusiasmo con cui l’ex ragazzo della Fgci, divenuto quasi una figura pop – con l’orecchino in vista, innamorato della poesia, omosessuale dichiarato – veniva accolto nel suo tour internazionale dagli studenti Erasmus o dai ricercatori italiani all’estero. Era così “nuovo”, diverso.
Ma rapidamente fu la volta di Renzi. Nuovo, diverso e anche giovane. Quando a fine 2013 prese la guida del Pd, aveva il vento in poppa. Lo aveva anche quando scalzò Enrico Letta dal governo, puntando esclusivamente sulla propria capacità personale di “fare la differenza”, visto che andava a guidare una maggioranza parlamentare identica (Pd più un pezzo di ex berlusconiani).