
Sandro Pertini è scomparso ormai da trent’anni – l’anniversario si celebrerà il prossimo 24 febbraio – ma mai come adesso del “presidente partigiano” sembra che si senta la mancanza, per la sua capacità di rappresentare quasi senza divisioni un Paese, la sua storia, i suoi cittadini.
Fu il primo vero capo di Stato “pop” italiano – forse l’unico – il più amato insieme al Papa e a Raffaella Carrà, secondo un sondaggio dell’epoca. Eppure veniva innegabilmente dall’establishment della Prima Repubblica: era stato presidente della Camera dei deputati per otto anni, prima di salire al Quirinale, e parlamentare di lungo corso.
Pertini inventò il “bacio alla bandiera”, una cosa che suona piuttosto nazionalista, ma insieme non rinnegò mai il suo antifascismo e il sentimento pacifista (celebre la sua frase nel messaggio al Parlamento dopo l’elezione, nel 1978: “Si svuotino gli arsenali, si colmino i granai”). E da antifascista andò però al capezzale di Paolo Di Nella, un giovane missino romano ucciso a sprangate nel 1983 da militanti di sinistra, che non furono mai condannati.
Pertini fu eletto al Quirinale con la più ampia maggioranza parlamentare della storia repubblicana. Ma fu spesso critico con i partiti e le istituzioni, e anche questo accrebbe la sua popolarità tra i cittadini, come una specie di Mao all’italiana che invita a sparare sul quartier generale.
Fu anche il primo presidente interventista della storia politica italiana: interpretò in modo attivo, talvolta anche troppo secondo alcuni, una carica che fino ad allora era stata quasi esclusivamente di “rappresentanza”. Senza di lui, che portò a Palazzo Chigi Bettino Craxi nell’83 (dopo averci provato inutilmente già a inizio mandato), non ci sarebbe stato probabilmente un “picconatore” come Francesco Cossiga. Che però non ottenne mai il consenso di Pertini.