
Erano 20 anni che non donavo più il sangue. Un po’ la dimenticanza, un po’ la pigrizia, un po’ il fatto che tanto, alla fine, c’è qualcuno che ci pensa, mentre tu ti preoccupi e ti impegni, o versi denaro, per l’ambiente, per i diritti umani, per i bambini in zone di guerra. Che sono altre cause importanti.
Ci pensavo, andando a piedi al centro trasfusionale del San Giovanni-Addolorata, su via di Santo Stefano Rotondo, insieme a tanti altri che ieri hanno sentito l’appello della Protezione Civile a versare sangue. Tra l’altro, il Lazio è una delle Regioni in maggiori difficoltà, perché dall’inizio dell’emergenza i ranghi degli abituali donatori si sono parecchio sfoltiti, e c’è il rischio di carenze nelle sale operatorie.
Poco prima delle 10 ho davanti a me 14 persone. Altre, parecchie, ne arrivano subito dopo. Meno di un terzo ha la mascherina, ci sono forse più uomini che donne, il più giovane ha meno di 30 anni. Arrivi, prendi un numeretto, compili un modulo di quattro pagine e aspetti che ti chiamino.