
Noi che viviamo in una parte del mondo sufficientemente benestante – dove normalmente non si muore di fame, ma casomai di disturbi legati all’alimentazione eccessiva e/o cattiva – tendiamo a pensare alla sicurezza alimentare come a una questione di qualità: la difesa del cibo da inquinamenti, contaminazioni, truffe.
Nei Paesi in via di sviluppo si tratta invece soprattutto di una questione di quantità. Per intenderci: avere cibo a sufficienza. Questa è sovranità alimentare: la “politica che implica il controllo politico necessario ad un popolo nell’ambito della produzione e del consumo degli alimenti”, come recitava la definizione del movimento altermondalista Via Campesina oltre 20 anni fa.
Il “sovranismo alimentare”, invece, è una bufala, basata sul principio che “il cibo di casa mia è sempre meglio”, quello di “Compra italiano”, di solito per le ragioni sbagliate.
In generale, è meglio consumare alimenti che provengono da località vicine piuttosto che lontane non tanto o non solo per una questione di “qualità” – la qualità dipende da diversi fattori, e si può certificare anche se la produzione avviene lontano dal luogo di consumo: e dipende da quanto lontano – ma principalmente per ridurre l’impatto dei gas a effetto serra prodotti dal trasporto dei beni.
Poi ovviamente c’è anche la questione dei giusti tempi di maturazione, di evitare sistemi di conservazione troppo energivori e che possono alterare il contenuto di vitamine, per esempio.
Certo, se poi l’insalata viene dall’orto del vicino che sorge lungo una strada trafficata ed è innaffiato con acqua contaminata, beh… allora forse è meglio andarla a comprare più lontano.