Quello che ci unisce dovrebbe essere più forte di quello che ci divide. Anche nel contesto di questa guerra.
Di solito scrivo di argomenti che conosco.
Prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, ho scritto soltanto per esprimere i miei timori, anche di genitore, e sperare che non si arrivasse alla guerra.
Quando la guerra è scoppiata, sono andato a manifestare contro la guerra imperialista del regime russo. E continuo a protestare contro la censura che l’Unione Europea vuole imporre a due testate giornalistiche legate al regime russo, perché credo che sia controproducente.
Non ho postato nessuna informazione, nessun video, nessuna foto sulla guerra perché, da giornalista, so benissimo che le prime fake news – che sono prima di tutto, spesso, notizie non verificate – sono prodotte dai media, prima che dai social, soprattutto per la fretta, cattiva consigliera sempre.
Passo tanto, troppo tempo a leggere notizie e tweet e la mia angoscia cresce, nella confusione delle voci. Ogni tanto lascio qualche commento, per poi pentirmene.
Trovo che i social continuino a essere un’arma a doppio taglio: sono spazi enormi di libertà e manifestazione del pensiero e strumenti terribili di amplificazione delle divisioni, soprattutto all’interno della vasta area politica in cui mi riconosco (che è più una questione di sensibilità e affinità che di affiliazione).
Avevo questo convincimento anche prima, per esempio sulla questione della divaricazione tra diritti sociali e civili, o tra diritti sociali e questione ecologica, che sembrerebbe impossibile da ricucire (ma non lo è) e che traccia frontiere diverse tra destre e sinistre e all’interno di queste.
Non penso di poter insegnare nulla a nessuno, al massimo posso spiegare delle ragioni – prima di tutto a me stesso, per chiarirmi le idee – oltre ovviamente ad ascoltare. E quindi scrivo qui alcune considerazioni generali che quel che sta accadendo mi ha ispirato.
Sapendo che siamo fatti di contraddizioni, perché siamo umani, tutti (anche se c’è chi ripete in continuazione “restiamo umani”, come se il problema non fosse proprio quello: che siamo umani, che è umano quello che ci agita, anche nel male).
E sapendo, anche, che la capacità di azione politica è una cosa complessa, che implica in momenti diversi la necessità di coinvolgere, mediare, cambiare punto di vista ma non principi, essere pronti allo scontro, saper arretrare, sempre tenendo a mente che si rappresenta una parte, non il tutto.
Passare il tempo a definire le differenze rispetto ai potenziali alleati è un esercizio futile, invece.
Ecco perché le nostre bandiere dovrebbero essere degli arcobaleni, o delle figure composte. Per qualcuno può essere cerchiobottista. Per me è un modo di tenere insieme le cose importanti.
- EMPATIA
Questa guerra ci colpisce più delle altre che pure ci sono state in Europa dopo il 1945 non soltanto perché vittime e aggressori sono “bianchi” (era così anche nell’ex Jugoslavia etc) ma soprattutto perché abbiamo paura di essere coinvolti direttamente, di restarne vittime, temiamo che la guerra ci entri fisicamente in casa. Non c’è niente di assurdo, in questo. E non può essere una ragione per fare la ramanzina a qualcuno. Forse – è un paradosso – questa cosa ci può aiutare collettivamente a capire meglio cosa significa sentirsi minacciati da una guerra qualunque sia la nazionalità, qualunque sia il colore della pelle. O forse no, come dimostrano gli episodi in cui alcuni studenti africani in trasferta in Ucraina sono stati respinti alla frontiera con la Polonia. Ma ciò non può ovviamente farci arretrare nella lotta contro il razzismo e per cercare soluzioni negoziali alla guerra ovunque, non solo in Europa, sempre.
- RESISTENZA
Si deve resistere o no, a un’invasione? Se si è invasi, si può decidere di non resistere e fuggire, è legittimo (è una forma di resistenza). Ci si può arrendere per la comprensibile paura di perdere la vita. Si può resistere in modo nonviolento (dipende anche da chi hai di fronte). Ma è lecito anche resistere con le armi. E tutte queste cose possono convivere insieme (anche nelle stesse persone, talvolta).
- PARTECIPAZIONE
Non possiamo fermare la storia e ricominciare da capo ogni volta, non è possibile. Se non si è riusciti a evitare una guerra, bisogna intervenire per fermarla, in tutti i modi. Fornire armi a chi resiste è un modo per fermare la guerra? Qualcuno dice di no, perché così si alimenta la spirale della violenza. Ma chi aggredisce deve avere un motivo per fermarsi: quale? Raggiungere i propri scopi? Trovare una resistenza più forte di quanto aveva preventivato? Rischiare di provocare una reazione da parte di coloro che non sono stati aggrediti?
L’annuncio (perché finora è un annuncio) della fornitura di armi al governo ucraino per difendersi dall’invasione è un pezzo di una strategia complessiva che mette insieme anche richiesta di negoziato e sanzioni (sanzioni più dure che in passato). Non è in contraddizione, è complementare.
- PARTECIPAZIONE/2
La partecipazione di alcuni volontari internazionali alla guerra in Ucraina è comprensibile. Come dovrebbe essere l’esperienza di chi si è arruolato nelle brigate curde contro lo Stato Islamico e in generale per combattere per la libertà e la democrazia contro l’oppressione e la dittatura.
- NEGOZIATO
Ancora una volta: non possiamo pensare di fermare la storia e ricominciare da capo ogni volta. Non è pensabile che dopo questa guerra si torni alla situazione precedente. La presenza di minoranze nazionali-culturali che vogliono l’autonomia o l’indipendenza è una questione che va affrontata, ovunque e anche in Ucraina. Farlo in un quadro di regole generali di garanzia, che tutelino sempre le persone e le comunità non allineate (anche le minoranze delle minoranze) è meglio per tutti. Esattamente come scegliere l’autonomia o l’indipendenza dovrebbe essere sempre consentito, in un quadro normativo come quello dell’Unione Europea. Ho detto Unione Europea, non Nato: perché la Nato è un’alleanza militare, non un’unione politica ed economica.
- AFFERMAZIONE
A quanto pare, la tendenza a definirsi per distinzione è forte, nella storia. E l’invasione dell’Ucraina da parte del governo russo può avere alcune conseguenze importanti per l’Unione Europea. La prima, è quella di farle assumere una maggiore unità, proprio per contrasto con le divisioni fin qui vissute. La seconda, quella di farle sviluppare un ruolo diplomatico maggiore e una difesa – non solo militare – comune. La terza, è quella di farle rivendicare l’importanza dell’indipendenza energetica (grazie alle fonti di energia rinnovabile). Ma restando aperta al mondo, capace di aprire le proprie frontiere, capace di essere partner, capace di imparare, capace di condividere, non esportare, democrazia. Queste capacità non sono scontate e non piovono dal cielo: se si raggiungeranno sarà grazie a scelte politico-culturali e a un conflitto (politico) all’interno della Ue. Che significa anche sviluppare delle cooperazioni rafforzate tra i Paesi che credono di più in un modello e condividono certi valori.